Abbiamo dovuto sospendere per un mese i nostri commenti alla cosiddetta politica cinematografica e, naturalmente, in un mese, moltissimi avvenimenti si sono sovrapposti a quelli passati, modificando l’aspetto di quella che è la dinamica della grande industria cinematografica. Preghiamo d’altra parte il lettor cortese a non dare alla nostra espressione di «grande industria» quel significato iperbolico che si è avvezzi generalmente a darle.
Naturalmente, l’uomo del giorno è sempre Pittaluga, il tenace genovese, colui che si ritiene debba sconvolgere l’ordine astrale di questa simpaticissima industria nostra. È scoppiata infatti, giorni or sono, la bomba dell’accordo Pittaluga-Fiori, ciò che ha fatto saltare per aria molti grandi e piccoli interessi che, come asteroidi, si andavano evoluzionando intorno a questi due astri. Se lo spazio non ce lo vietasse, noi avremmo trovato sommamente dilettoso ed istruttivo illustrarne largamente l’attività e l’intraprendenza. Forse avremmo potuto dimostrare che i suoi successi sono dovuti più che alla sua indiscussa capacità negli affari, all’incompetenza ed alla suggestione della massa. Ci riserviamo, però, di ritornare sull’argomento. Il pericolo Pittaluga, in rapporto alle condizioni generali dell’industria, è uno studio tnteressante più che non si creda.
Per ora ci limitiamo a domandarci: Perchè l’accordo intervenuto fra Pittaluga e Fiori non è stato fatto dall’Unione?
Cerchiamo di illustrare la situazione servendoci di quelle informazioni che dobbiamo credere esatte e che dormono da qualche settimana nel nostro tiretto di redazione.
È noto che da tempo Pittaluga rimuginava il riavvicinamento dei gruppi Barattolo-Mecheri-Fiori. Questa iniziativa ha subìto alternative da altalena: da un momento all’altro appariva come una realtà indiscussa o come una chimera inafferrabile. A chi la colpa di queste alternative? Se lo chiedevate a Fiori, vi rispondeva: Per i tentennamenti di Barattolo. Se volevate prestar fede ai turibolanti di Barattolo, avreste dovuto attribuirli alle condizioni inaccettabili che imponeva il binomio Mecheri-Fiori. Sta di fatto che mentre più fervevano le trattative, Barattolo credette più igienico andarsene a Berlino. L’entente con i tedeschi era forse più interessante: dell’accordo in casa propria.
Evidentemente gli esponenti massimi dell’organizzazione Pittaluga non trovarono di eccessivo buon gusto un invito a Roma per…
constatare de visu che Barattolo da poche ore aveva preso il diretto per Berlino! Fiori non potette resistere alle pressioni di quegli enti che intendevano, per veder chiaro, venire ad una qualsiasi soluzione, e così, messi da parte Barattolo e l’Unione, Pittaluga trovò opportuno stringere l’accordo con Fiori.
Chè nel frattempo la Fert si era costituita in anonima col capitale di 5 milioni di cui tre milioni e mezzo erano stati versati dalla Banca di Firenze, un milione dalla Società Generale di Credito e la rimanenza da Fiori, dal cav. Francolini e dal cav. Olivieri. Ciò fece pensare non poco i dirigenti dell’anonima Pittaluga, i quali si domandavano dove si sarebbe andati a finire, dato anche il compromesso esistente tra la Fert e la Orlandini per i due locali di prima visione di Torino, di proprietà della Fert. Infatti un più stretto accordo Fiori-Orlandini, incuneandosi nel l’accordo Pittaluga-Unione avrebbe sensibilmente ostacolato il raggiungimento degli scopi prefissi dalla Ditta Pittaluga, particolarmente in seguito alla perdita dei due locali di prima visione a Torino.
Qui viene il tratto di genio di Pittaluga. Egli, accantonando Barattolo che si era dato al mestiere di Fabio Massimo, e preoccupandosi solo dell’interesse della sua Ditta, si fece cedere dalle due Banche entrate nella combinazione Fert una gran parte di azioni, strinse nuovi accordi per la gestione dei locali e finì con l’assorbire l’anonima Orlandini che, come abbiamo annunziato in un numero scorso, ha rinunziato, in favore di Pittaluga, al noleggio film ed ai locali che aveva in gestione, limitando la sua attività soltanto al monopolio di acquisto e vendita di films.
Così la tattica temporeggiatrice di Barattolo — a proposito, congratulazioni vivissime per la Commenda della Corona d’Italia —ha avuto un effetto che non ci crediamo facoltati a giudicare in merito agl’interessi di questo. Evidentemente egli ha dovuto fare bonne mine au mauvais jeu ed accettare il fatto compiuto.
Ecco dunque come stanno le cose nell’Olimpo cinematografico. Portate in altri campi che non sieno quelli dove l’arte si erge su piedistalli industriati e finanziarii, le vicende che abbiamo illustrate sarebbero state come le fasi di operazioni d’interessi privati, delle quali ognuno avrebbe potuto benissimo disinteressarsi e dalle quali nessuna influenza l’industria avrebbe potuto subire. Ma la nostra industria è monopolizzata da uomini che vogliono avere una preminenza assoluta in tutti gli avvenimenti ed ai quali la stampa amica e nemica offre a buone condizioni l’onore di una pubblicità superiore a quella che veramente è la loro influenza sull’andamento dell’industria.
Seguiamo dunque la corrente anche noi, ma non preoccupiamoci soverchiamente delle conseguenze. L’avvenire della cinematografia Italiana è più che mai sulle ginocchia di Giove ed i suoi giganti sono soltanto tali attraverso le lenti d’ingrandimento. E, come il famoso colosso di Rodi… hanno, un po’ tutti, i piedi d’argilla!
Ciò che non è molto igienico…
la Cine Fono, Marzo 1921