In uno dei teatri giganti degli studi Staaken di Berlino, la Greenbaum-Film G.m.b.H. gira il suo film più importante: Fuga dal circo (Die Flucht in Den Zirkus).
Una vera strada russa in una piccola città, accanto ad essa il cortile della fortezza dalle mura oscuramente incombenti.
Gli architetti Görge, Rinaldi e lo specialista del milieu russo, Andreijew, sono ancora al lavoro con le loro troupe per preparare tutto per le grandi riprese, che verranno mostrate prossimamente alla stampa. Insieme al regista e ai direttori d’opera stanno determinando la location più adatta nel cortile della fortezza, dove i prigionieri dovranno esalare l’ultimo respiro sotto gli attacchi di un gruppo di cosacchi.
Ad un certo punto si arriva al momento dove alla povera, bella Marcella Albani, giustamente accusata di attività rivoluzionarie (l’epoca della trama è il 1905), si avvicina il prete per offrirle l’ultima consolazione, mentre le canne dei fucili sono puntate contro. Proprio in quel momento, l’ordine di sparare suona bruscamente, un giovane ufficiale – Vladimir Gaidarov – irrompe nel cortile a cavallo, brandendo il decreto di grazia. Cavalca in mezzo alla linea di fuoco, il cavallo dell’ufficiale viene colpito, la povera ragazza, che pensava già che la sua vita fosse finita, si salva.
La sceneggiatura è stata scritta da Mario Bonnard e Leo Birinski. Il cast è diretto da Mario Bonnard, con l’assistenza di Schamberg (Guido Parish). Oltre alla coppia (Albani e Gaidarow), la cui felice unione è al centro dell’attenzione, il cast include: Dieterle, Kampers, von Ledebur, Eugen Burg, Mierendorff, Bender, Harbacher, Olga Engl, Frida Richard e Harbacher.
Operatori: Greenbaum, Sparkuhl.
Questa produzione Greenbaum è una combinazione italo-tedesca, in cui la parte tedesca non viene trascurata, come accade in tante produzioni tedesco-straniere. L’Italia fornisce la regia. La troupe è tedesca e le riprese sono realizzate con gli attori del film tedesco. Solo personale tedesco sarà preso in considerazione per tutte le registrazioni.
Il fatto è questo. Una giovane Casa italiana, l’Albani Film, alla quale recentemente si è associato un valoroso commerciante cinematografico americano, il sig Ziehem, sta lavorando in Germania, ove, con la serietà dei suoi propositi ed il valore della produzione è riuscita a conquistarsi un notevole posto nella stima del pubblico tedesco. Ora avviene che questa Casa, facendo onore al suo coraggioso programma, non teme d’affrontare i rischi, d’una lavorazione in grande stile e scrittura per un importante film un notissimo attore francese, il Signoret, il quale di buon grado, accetta, non solo; ma fissa l’epoca in cui dovrà essere in Germania ad assumere il suo posto presso la Casa italiana. Ma l’epoca stabilita giunge, viceversa chi non giunge è il grande attore francese, riguardo il quale, dopo alcuni giorni, perviene alla Direzione un telegramma in cui è annunciato tout court che il Signoret non si sarebbe più recato in Germania.
Naturalmente la Casa è sorpresa; chiede, indaga ed ecco la spiegazione: la stampa francese aveva posto il suo veto all’andata in Germania da parte dell’attore connazionale. E non fu possibile derogare dall’imperativo della stampa, la quale si mostrò irriducibile: o l’attore rinunciava al suo impegno, o avrebbe dovuto subire il boicottaggio dei giornali del proprio Paese. Non vi fu via di mezzo: l’attore si vide costretto ad abbandonare il contratto, essendogli venuti meno anche gli appoggi dello stesso Ministro delle Belle Arti, di cui espressamente era stato richiesto l’intervento per la difesa dei diritti dell’arte e dell’industria, con tanta disinvoltura lesi.
Quindi la Casa italiana dovette rassegnarsi a che fossero di colpo irrimediabilmente sventati i suoi progetti, con tanta pazienza elaborati e che anche a costo di grandi sacrifizi sarebbero stati attuati.
Ora, a che miriamo noi denunciando questo particolare fatto? Non intendiamo certamente impegnarci in una polemica con i Colleghi francesi ma da esso desideriamo trarre argomento, per un criterio più comprensivo e razionale, generalizzando lo spirito che ha informato la reazione dei giornalisti d’Oltr’Alpe. Confessiamo senz’ambagi che l’atteggiamento suddetto della stampa ci ha dolorosamente colpiti, e, per sgombrare subito il terreno da qualche arbitraria interpretazione, dichiariamo che nella nostra disapprovazione non ha nulla a che vedere il fatto che i colpiti siano personalità italiane. Avvezzi come siamo a considerare le cose da un punto di vista assai elevato, veramente au dessus de la melée e dal quale aprioristicamente esula qualsiasi interesse particolare, chiediamo se debba ritenersi tra i vari compiti nobili che la stampa deve assolvere, quello d’interporsi, per impedire ad un artista di esplicare la sua opera come, dove e quando meglio gli talenta. Ufficio principale della stampa è promuovere, non distogliere; favorire, non ostacolare; consigliare, se del caso, ma non mai sabotare. Essa ha bensì una funzione di guida e di controllo, per cui deve intervenire con qualche richiamo, ma non adottare metodi repressivi, diretti ad inibire libero spiegamento delle varie forze che concorrono al movimento del vasto ingranaggio industriale cinematografico. Tali metodi sono assolutamente incompatibili con la natura della stampa professionale la quale, come espressione d’un’arte giovane che sta ovunque vigorosamente affermandosi, e mostrandosi sempre più tendente ad elevarsi a una forma internazionale, deve dimostrare d’aver raggiunto una tale maturità, da ripudiare lo spirito reazionario, che spinge a conservare in un perenne anacronistico stato di ostilità le relazioni artistiche tra Paesi che, se hanno tendenze diverse, hanno però comune il punto di partenza, ossia il culto dell’Arte. Ancora tali atteggiamenti sono incompatibili con l’elevatezza del nostro compito, il quale deve riconoscere all’Arte, che devotamente propugna, tale supremazia da soverchiare le piccole competizioni di parte e quindi evitare di trasformare preconcetti derivati da una malintesa concezione nazionalistica, in altrettante armi per colpire l’arte e l’industria, di cui questa stampa è assertrice.
Purtroppo, invece, nel caso attuale, è doloroso constatare che tali preconcetti siano prevalsi sul criterio artistico, al punto da far dimenticare alla stampa francese, che con il provvedimento adottato, la vittima non era l’industria cinematografica tedesca, bensì una coraggiosa Casa editrice italiana, che trae i suoi mezzi di esistenza dal proprio lavoro meraviglioso ed instancabile. Se la Francia, socialmente e politicamente, non ha ancora risolto le sue ragioni di divergenza con la Germania, non è affatto la stampa cinematografica che deve scendere con le armi in pugno, per far le vendette del non ancora avvenuto accordo, coinvolgendo nella sua controffensiva proprio chi come i produttori filmistici italiani, non hanno in tali attriti, la benché minima parte.
Ma, prescindendo da questo antipatico fatto particolare, vediamo di assurgere ad una regola di connivenza civile, almeno nel campo artistico, scevra della mala bestia dall’intolleranza.
Questa di troppi guai è stata sempre ed ovunque madre, perché il suo spirito debba inquinare anche gli aurei sentieri sacri all’Arte.
A proposito poi della stampa francese in particolare, con piacere aggiungiamo che noi l’abbiamo sempre ammirata e con plauso seguita in parecchie sue ottime campagne, come quella per la censura, per la diminuzione delle tasse, per l’esercizio della pubblicità, in cui oltre la validità degli argomenti era mirabile il senso di concordia dei vari organi; perché ora essa vorrebbe derogare dalla sua linea seriamente teorica e dignitosa, per passare al campo materiale adottando atteggiamenti, come quelli della minaccia di boicottaggio, indegni d’un organismo fondato su tradizioni cavalleresche e dotato di squisito senso di opportunità?
Indubbiamente essa, come la stampa d’ogni paese ha diritto di critica e di richiamo; anzi, diciamo di più: essa ha avuto perfettamente ragione allorchè protestò contro l’alterazione della storia di Francia per opera di films tedeschi, e noi dal canto nostro, dimostrammo di concordare con essa in due nostri articoli recentemente pubblicati; ma non approviamo che un disappunto, o un consiglio faccia degenerare la protesta della stampa in un’azione a carattere demagogico, dannosa per tutti.
Non crediamo che tale nostro appunto possa essere male accolto dai Colleghi francesi, i quali siamo certi non fraintenderanno le nostre intenzioni, ma comprenderanno come noi abbiamo voluto da uno spunto di cronaca, assurgere ad un corollario generale. Esso suona così: la nostra stampa professionale ha l’alta missione della guida e del consiglio: la esplichi fortemente ma non degeneri e si consideri elemento d’avanguardia, non per la repressione, bensì per l’operosità; quindi sia vanto di tutti i giornalisti essere gli alfieri del bene, anzichè gli strumenti del male!
L’orfana Dorothy (Delia Bicchi) ha portato la letizia del suo sorriso nel castello dello zio, lord Riccardo Wisburne (Giuseppe Farnesi), che l’ospita con prodigalità principesca. E mentre la giovinetta intesse un mite idillio col giovane cugino Giorgio (Valentino Marcello Giorda), facendo risuonare gli echi del parco della sua giocondità, lord Riccardo non può sottrarsi al fascino che emana da lei e si lascia trascinare ad indefinite fantasticherie allettatrici, quando nell’ora suggestiva del tramonto, la giovane donna trae dal pianoforte suggestive melodie…
Il vecchio lord non vuole lasciarsi vincere dalla nascente passione ed in compagnia di allegri amici, si stordisce in rumorosi bagordi.
Intanto Giorgio ha conosciuto a Londra un’affascinante avventuriera, Eva (Anita Dionisy), che in unione del suo amante (che ella presenta quale suo fratello) nulla lascia di intentato per avvincere a sè il giovane e ricco lord. Così attorno a Giorgio s’intesse tutta una trama di sottili seduzioni. Ma poiché gli avventurieri apprendono che il cuore del lord è tutto preso d’amore per una giovane ospitata al castello Wisburne, non rifuggono dal mezzo estremo per sopprimere colei che ostacola i loro piani: un giorno, mentre un’automobile di casa Wisburne, nella quale doveva trovarsi Dorothy, traversa un impetuoso torrente,l’alto ponte che sovrasta l’abisso crolla nel fragore d’una immane rovina delittuosa… Però Dorothy è salva…
Giorgio deve recarsi nelle Indie, dove interessi gravissimi lo chiamano.
Lord Riccardo è sempre maggiormente ammaliato dalla rigogliosa giovinezza della piccola Dorothy; l’ambiente di oziosa opulenza, ed il lento narcotico delle ore contemplative passate vicino alla fanciulla, operano fatalmente sui nervi ammalati del vecchio baronetto. Giunge così l’autunno; lord Riccardo organizza coi vicini signori una partita di caccia. Dorothy è fra le amazzoni. Un furioso temporale si scatena improvviso ed i cacciatori al galoppo quadagnano il castello. Lord Riccardo e Dorothy si rifugiano nel padiglione del bosco… e, mentre l’uragano imperversa, la brutale passione del vecchio lord ha ragione della ribellione disperata che Dorothy gli oppone…
L’oscura tragedia che ha travolto Dorothy non è rimasta ignorata: gli avventurieri, implacabili, nella furia degli elementi sconvolti, hanno spiato… e Giorgio apprende a Singapore la sventura che s’è abbattuta su lui e della quale egli crede la colpevole maggiore. Dorothy, che gli avventurieri che lo hanno raggiunto, gli dipingono coi più foschi colori.
AI mal fatto lord Riccardo vorrebbe rimediare sposando Dorothy. Intanto essi vivono come due estranei: il baronetto soffoca i suoi rimorsi conducendo una vita di orgie nei bassifondi di Londra e Dorothy nasconde il suo acerbo dolore in un benefico raccoglimento.
Un giorno lord Riccardo è ferito a morte mentre alterca in un Tabarin e muore senza testamento. L’infelice Dorothy è costretta ad abbandonare il palazzo Wisburne ed a ritirarsi con le poche cose sue in casa dell’amica Mary.
Nel viaggio di ritorno, lord Giorgio è ancora circuito dalla bella australiana. Giunto a Londra, lord Giorgio incarica il suo notaio della sistemazione della sua vistosa sostanza e frequenta assiduamente la casa lussuosa di Eva, che ha sempre pieni i saloni di avventurieri della peggior risma, sotto le spoglie di gentiluomini. Il giovane lord, per quanto non abbia dimenticata l’amorosa passione per Dorothy, è stretto nei lacci della bella sirena, alla quale leggermente fa intravedere la possibilità del matrimonio. Giorgio comunica tale divisamento al notaio, incaricandolo delle pratiche occorrenti.
L’annuncio del prossimo matrimonio di lord Giorgio con Eva (fatto dai giornali con gran lusso di particolari, come di un grande avvenimento mondano) vien appreso da Dorothy con disperazione grandissima… essa intuisce che il suo sempre amato Giorgio è caduto in un tranello infernale e decide salvarlo ad ogni costo. Si fa accettare dalla bella maliarda in qualità di cameriera; così avrà modo di sventare l’infame trama tesa ai danni dell’incauto giovane. Dorothy è scoperta e per poco non paga con la vita la sua abnegazione; ella sfugge a stento alle fiamme divoratrici nelle quali l’hanno gettata Eva ed il suo complice e giunge appena in tempo per salvare dalla rovina estrema il suo Giorgio.
… e poiché il giovane lord ama ancora la mite Dorothy, le offre la sua mano; ma Dorothy rifiuta… l’ombra del defunto lord Riccardo starebbe sempre tra loro… funestamente… Sia pur felice Giorgio con altra donna degna di lui… ella lo amerà sempre… sarà la sorella sua affettuosa… e la visione della felicità dell’uomo tanto amato fa scorrere nuove lacrime dolorose dagli occhi belli dell’infelice Dorothy.
Direzione artistica: Armando Brunero. Produzione Brune-Stelli Films Roma.
Visto di censura: vietato, consentito in appello. Condizioni: Eliminare la figura dell’incesto sostituendo la qualità di parentela fra i personaggi e sopprimere le scene impressionanti in cui viene fatto saltare un ponte con la dinamite nonché le altre dell’incendio di una casa in cui è rinchiusa la protagonista.