
Novanta anni fa, il 23 agosto 1926, si spegneva nel Polyclinic Hospital di New York Rodolfo Valentino, il cui ricordo è ancora vivo in tutti coloro che hanno seguito e seguono, da vicino o da lontano, le manifestazioni e gli sviluppi della cinematografia. Nello stesso anno nasceva negli Stati Uniti il film sonoro, così che si può dire che il cinema muto, per una strana coincidenza, è morto insieme ad uno dei suoi più famosi esponenti.
Il “fenomeno” Valentino non ha avuto e non avrà riscontro nella storia del cinema. Ogni tentativo di emulazione o di sostituzione del celebre attore italiano è naufragato, e non poteva essere altrimenti perché Valentino, oltre le doti fisiche che tanta attrazione esercitavano sul pubblico, possedeva una particolare intelligenza artistica che si era andata man mano affinando e che dava un’impronta personalissima alle sue interpretazioni. Non era soltanto un uomo bello, ma un attore completo dalle caratteristiche inconfondibili. Un caso Valentino non potrà ormai più ripetersi, anche perché attualmente i criteri per la scelta degli artisti sono radicalmente cambiati e il continuo afflusso di nuovi elementi contribuisce al rapido declino di coloro che li hanno preceduti.
Rex Ingram fu il primo regista che seppe presentare Valentino nella sua giusta luce, e da allora i successi si moltiplicarono e si rinnovarono con un crescendo inesauribile. Ma ai primi passi quante delusioni, quanti inutili tentativi di emergere, frustrati il più delle volte proprio a causa di quella bellezza che dava ombra ad altri attori già arrivati e suscitava gelosie, preoccupazioni, risentimenti.
La storia della vita di Rodolfo Valentino è stata narrata molte volte e con ogni mezzo, perciò mi sembra superfluo raccontarla nuovamente. Ricorderò soltanto che era nato a Castellaneta (Taranto) il 6 maggio 1895, ed era partito per gli Stati Uniti in cerca di fortuna e, sicuramente, gloria, nel 1913.