
« A morte, a morte, a morte la strega! » Una torma di contadini irati, armati di falci e tridenti, inseguono una fanciulla pallida e lacera. Bellissima, ha nel volto un’infinita espressione di terrore. Corre, corre per sfuggire all’ira dei suoi inseguitori, finché esausta, spossata, s’abbandona presso il tabernacolo della Vergine, fidando che la plebaglia superstiziosa non vorrà toglierla dal sacro asilo. E i contadini armati lanciano ancora il loro grido « a morte » mentre il direttore di scena dà il segnale che l’azione è finita.
Siamo nel cortile d’uno stabilimento cinematografico: « il teatro del silenzio ».
Sentite come strillano tutti? Il metteur en scène, l’operatore, la prima donna che chiama disperatamente il parrucchiere, perché all’ora di lavorare, le sue trecce d’oro non sono pronte; il primo attore che risponde ai richiami del metteur en scène facendo sentire la sua voce lontana, ma sonora, dal camerino sotto il teatro: « Non è ancora pronto, la mezza barba solo; aspettino un po’ Dio bonino…».
Ma entriamo dunque nel teatro di posa, vi farò da guida. Badate che si entra nell’assurdo, e anzitutto vi parrà assurdo che questo si chiami « il teatro del silenzio » mentre tutti vi fanno un baccano assordante.
Tutto è possibile in cinematografo. Così, può capitarvi di vedere Jago filare dolcemente con Desdemona, mentre Otello impassibile fuma vicino a loro una sigaretta.
E guardate laggiù… camminano sotto braccio una ciociara e una regina, e più in là un Romano del buon tempo antico discorre molto amichevolmente con un cavallerizzo moderno; ma guardate, guardate presso quella finestra: Cecco Beppe accende la sigaretta a un baldo bersagliere. Ecco questo è troppo!
Ma che fischi fanno i colleghi a quel disgraziato che interpreta la poco simpatica parte di Imperatore forcaiuolo!
Nel teatro si lavora. Ecco il richiamo del metteur en scène: un fischio. Sicuro, in cinematografo si entra in scena facendosi fischiare. Infatti, un comico teatrale che desiderava intraprendere la carriera cinematografica, diceva a un amico metteur en scène: « Caro mio, preferisco farmi fischiare da te, che applaudire dal pubblico ».
Quanti attori hanno lasciate le scene, per arruolarsi alla nuova forma d’arte? Moltissimi, specialmente negli ultimi anni, che furono per i cinematografisti una vera risorsa. La vita dell’artista cinematografico presenta economicamente dei vantaggi su quella del teatro; primo fra tutti, un più lauto guadagno, poi la possibilità di formarsi una casa propria, di restare fermi in una città senza girovagare eternamente, rappresentando la soluzione del problema del moto perpetuo.
Così, buona parte degli attori cinematografici vengono dal teatro di prosa, sia italiano che dialettale.
Poi vi sono gli allievi delle scuole di recitazione, i dilettanti; quelli che hanno un tempo calcate le scene dei caffè-concerto; qualche altro era mimo. Abbiamo pure qualche attore lirico… a corto di voce, cavallerizzi, clown di circhi equestri. Questi ultimi, in generale, interpretano comiche à cascades. Una nuova grande famiglia perciò, fatta di disertori.
Poi abbiamo l’attore… rivelazione. Quello che ha sempre fatto la comparsa, ed essendosi fatto notare per la sua cura speciale nell’indossare i costumi, è stato poi adibito a partecipare di scorcio, e s’è man mano affermato.
Fra gli attori-rivelazione va messo Pagano, il meraviglioso Maciste della Cabiria, umile lavoratore del porto, scritturato dall’Itala solo per eseguire questa film. Lo ricordate legato alla mola, mentre riposa carico delle catene che lo avvincono al suo supplizio?
Pareva pur di bronzo il suo corpo atletico, nell’immobilità del sonno. Egli che non fu mai attore, ci ha dato un Maciste rozzo, impacciato, quale voleva il divino Poeta. Era nella sua natura. Ma ora potrà darci veramente delle nuove interpretazioni artistiche quest’uomo che ha suscitato per un’ora l’entusiasmo della folla, che fu quasi portato in trionfo a Milano? Quest’uomo che vede programmati i suoi lavori, a fianco di quelli del nostro maggior attore: Ermete Zacconi? Appoggiato dal pubblico che l’ha un giorno amato e giudicato con l’aiuto dei suoi splendidi requisiti fisici, e quello di una facile, istintiva comicità che m’è parso notare in lui, continuerà la via della nuova arte, o alla fine della parabola, tornerà alla sua vita modesta?
È arduo profetizzare, come è difficile pronosticare l’avvenire del cinematografo; il quale potrà assurgere ad insperate altezze, o cadere a seconda della via che prenderà.
Già a rispetto della produzione di due anni fa, quella d’oggi è in decadenza. Non più soggetti umani possibili.
O siamo costretti ad assistere a un’azione storica, che rappresenta le vicende di un popolo, mentre ci si aggirano intorno delle figure meschine, che ci raccontano una storia, la quale, sia pur forte, sia pur interessante, perde, s’impicciolisce di fronte alla visione tragica del cozzar delle armi; oppure dobbiamo digerirci le films sensazionali, quelle dove tutto scappa, tutto s’insegue; le biciclette dietro le automobili, le automobili dietro ai trams, gli aeroplani dietro ai treni… e il pubblico che vorrebbe correre fuori della porta d’uscita… Il pubblico fine, naturalmente, non il popolino, perché quest’ultimo anzi tributa il successo a questo genere di lavori: ed è la causa prima della decadenza del cinematografo.
Perché, come abbiamo il teatro per ogni sorta di pubblico, non possiamo avere il cinematografo, per i diversi gusti? Lasciamo lo Zibaldone per chi lo ama, e si faccia della poesia, della psicologia per chi sa apprezzare.
Invece, purtroppo, negli ultimi anni ci siamo informati al gusto dei peggiori, solo perché rappresentano essi la maggioranza, finanziariamente convien accontentarli. Ma a cosa condurrà questo? Non metterà presto la parola fine?
Se ci si provasse invece a dare un’impronta d’arte al cinematografo, sarebbe cosa altamente educativa. Bisognerebbe anzitutto scegliere soggetti morali e umani, e poi curare oltre che l’ambiente, l’eleganza, la bellezza; insomma tutto ciò che è apparenza; il sentimento. E verità soprattutto. Verità nell’esporre i tumulti delle passioni, verità nel portare sullo schermo la storia, la visione delle cose d’altri tempi.
Verità di sentimenti, fedeltà di ricostruzione, nesso logico e coerenza; solo con ciò si potrà far arrivare « l’arte del silenzio » molto in alto.
Segue…
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