La crisi dell’industria cinematografica

Agosto 1917.

Dopo il Convegno tenuto a Roma in questi giorni dai Cinematografisti Italiani, era interessante conoscere il pensiero di uno dei maggiori di questa importante classe di industriali nostri. Ci siamo rivolti al cav. Trevisan, quale uno dei più competenti in materia.

A nostra richiesta, egli ci ha detto:

— Io vado constatando con sincero rammarico come si accentui rapidamente la crisi nell’industria cinematografica italiana; per questo, astraendo da ogni lontana idea di personale interesse, sento di essere affezionato ad essa, siccome uno dei pochi che, fra mille incertezze, ebbero il coraggio d’iniziare in Italia il commercio degli apparecchi e delle pellicole cinematografiche, sino dal 1896; dall’epoca, cioè, nella quale facevano le prime prove gli apparecchi Lumière, con pellicole lunghe appena una trentina di metri.

Furono anni difficili! Le imperfezioni negli apparecchi vennero man mano rimosse, sicché verso il 1903 lo spettacolo cinematografico costituiva già un’attrattiva grande e simpatica delle fiere italiane ed estere. Alla pericolosa luce ossidrica, impiegata per gli apparecchi di proiezione, si era sostituita la lampada ad arco, alimentata con forti batterie di speciali pile voltaiche, là dove non era possibile trovare adatti impianti pubblici, distributori d’energia elettrica. Altre Case, specialmente francesi, costruirono e perfezionarono nuovi tipi di apparecchi cinematografici, rendendoli anche più accessibili per costo; nel tempo stesso le pellicole assumevano maggiori dimensioni; se ne incominciava a lanciare sul mercato di quelle lunghe fino a trecento metri: a ciò, aveva certo contribuito anche la modificazione nelle perforazioni laterali del nastro di celluloide, portate, da Edison, da 2 a 4 per immagine.

Se non ché fu soltanto all’epoca dell’Esposizione Internazionale di Milano 1906, che si iniziò nel nostro Paese una era nuova per l’industria cinematografica. S’aprirono allora i primi saloni per spettacoli nei principali centri cittadini, e, ben presto, il pubblico dimostrò il proprio interesse e diletto per siffatta modesta ed istruttiva forma di divertimento.

Ecco più tardi a Roma, e con capitale italiano, sorgere la Cines, cui tiene subito dietro, se non erro, l’Ambrosio, di Torino, e susseguentemente l’Itala Films, la Pasquali, ecc., sino a raggiungere oggi la cifra di parecchie decine di fabbriche.

Di pari passo presero sviluppo i Saloni cinematografici: pensi che a Milano se ne contano una quarantina, mentre due soli ve n’erano nel 1906!

— E così, le cose cambiarono, non è vero?

— Le cose procedevano troppo bene, perché il Fisco non pensasse tosto al modo di frenare tanti ardori. La tassa comunale sugli spettacoli e d’esercizio e l’altra di ricchezza mobile, non portavano al pubblico erario tutto quel contributo di balzelli che era lecito sperare; secondo le accorte menti degli uomini di Stato, occorreva escogitare una nuova forma d’imposta, che, oltre ad accrescere per se stessa i gettiti, potesse fornire maggiori e più sicuri criteri per l’accertamento dell’imponibile di ricchezza mobile.

Ella ricorderà di sicuro come l’on. Luigi Luzzatti, in un suo scritto del 1913, sostenesse che i cinematografi in Italia s’aggirassero intorno ai Seimila, e pensasse che, con una tassa, chiamata « dolce», di 5 centesimi per biglietto, si potesse portare nelle pubbliche tasse comodamente una quindicina di milioni annui!

Noti che urbis et orbe si sapeva allora che gli esercizi cinematografici in Italia non superavano i 1500!

Eravamo alle prime avvisaglie! Nella giornata del 6 giugno 1913, allorché si discusse alla Camera dei Deputati il disegno di legge sull’esercizio della vigilanza sulle produzioni cinematografiche e l’imposizione della relativa tassa, con molta prudenza gli 0n. Treves e Turati ammonivano il Governo di guardarsi dal soffocare, per un malinteso scopo fiscale, una industria nuova, che aveva preso uno slancio meraviglioso: niente di meno, la legge passò, e, coll’approvazione della tassa di 10 centesimi al metro di pellicola sul così detto copione (ora portato a 20 centesimi) i cinematografisti osarono sperare venisse abbandonato l’altro accennato progetto Luzzatti.

— E quali speciali protezioni chiedevano i cinematografisti al Governo?

— L’industria cinematografica italiana aveva bisogno di consolidarsi e d’emanciparsi dall’estero; non chiedeva speciali protezioni governative, solo domandava d’essere lasciata in pace. Vane speranze! Perchè non mungere là, dove si ritiene possibile? L’on. Facta ordinò una diligente statistica dei locali cinematografici e delle capacità di essi: preventivò un prodotto probabile di 19 milioni di lire, ridotti poi a 13, da ripartirsi fra Stato e Comuni, ed elaborò il famoso progetto, chiamato « dei Posti vuoti » contro il quale si misero anche i giornali più conservatori, dimostrando come si giocasse a rovinare completamente questa nuova industria.

— E come fini questo progetto ?

— Il progetto arenò mercé la campagna fatta dalle diverse Associazioni di Cinematografisti: venne più tardi modificato dall’on. Rava, per entrare in vigore con nuove norme, auspice il Ministro Daneo, in base al Decreto Legge 12 novembre 1914. S’era creduto di zuccherare il rimedio, perché riuscisse meno sgradevole: invece si era apprestato un tossico lento, ma efficace, che finiva per portare all’esaurimento.

D’altra parte, la ingiusta sperequazione, neppure mitigata cogli ultimi Decreti Luogotenenziali, non portò buoni effetti alle Finanze dello Stato, che si vide disilluso nelle sue previsioni.

Povera industria cinematografica! Non appena iniziata la parabola ascendente con meravigliosa energia, eccola colpita nei suoi organi più vitali, precipitare rovinosamente per l’altra china!

Messi in non cale i desiderata espressi dalla classe in un memoriale al Ministro delle Finanze (19 maggio 1914), si impose un balzello, che, in diversi mesi di applicazione, risultò disastroso per tutti gli esercizi cinematografici, dai saloni popolari ai Cinema Teatri di lusso.

— E così si arrivò al Congresso di Roma da Lei presieduto. Che può dirmi in proposito?

—  Le dirò, che per rendere ora pratica l’agitazione dei Cinematografisti italiani, i quali separatamente cercavano di far conoscere al Governo il vero stato dell’industria, ebbe luogo in Roma nei giorni 13, 14, 15, 16 corr. mese, il « Convegno Nazionale dei Cinematografisti », indetto dalla « Associazione dei Cinematografisti della Lombardia e del Veneto », che ha la sua sede in Milano.

Fungeva da Segretario il signor Luigi Del Grosso e fu relatore il Cav. Uff. avvocato V. C. Vago. Erano presenti i rappresentanti delle Associazioni fra Cinematografisti del Lazio, del Napoletano, della Toscana, del Piemonte, della Sicilia, della Liguria, della Lombardia e del Veneto.

I convenuti deliberarono, alla unanimità, la costituzione in Roma di un Comitato Centrale delle Associazioni Cinematografiche Regionali, il quale dovrà trattare tutte le questioni che concernono l’interesse generale dell’industria e del commercio cinematografico e dovrà provvedere a tutte le pratiche presso le Autorità centrali.

L’argomento più importante che venne discusso, fu quello della attuale tassa di bollo sui biglietti d’ingresso ai cinematografi.

Il Convegno ritenne che tale tassa, quantunque elevatissima e tale da rappresentare una vera cointeressenza dello Stato sugli introiti lordi delle sale, non rende quello che lo Stato se ne riprometteva, per gl’inconvenienti gravissimi relativi alla sua natura ed alla sua entità, tra i quali il principale è quello della chiusura forzata di moltissimi cinematografi, specialmente di provincia.

Rivelò d’altra parte, che la tassa stessa riesce eccessivamente vessatoria per i cinematografisti nella sua applicazione. Votò quindi un ordine del giorno, proponendo l’applicazione della tassa a forfait, colla divisione dei cinematografi in diverse categorie, a seconda della loro ubicazione e della loro capienza, nella convinzione che lo Stato con questo sistema ricaverà dalla tassa somme maggiori senza l’onere di una vigilanza continua e con maggiore tranquillità, nello svolgimento attivo del commercio cinematografico.

Questo ordine del giorno venne presentato al comm. Benettini, Direttore generale delle tasse sugli affari e delegato dal Ministro delle Finanze on. Meda, a ricevere l’apposita Commissione nominata dal Convegno. Il comm. Benettini promise di farlo oggetto di studio.

E tutto questo, tenga bene presente, non ha ancora rapporto colla crisi generale apportata dallo stato di guerra della maggior parte d’Europa: così, come procedono ora gli affari, è da prevedersi per la nostra industria qualcosa di peggio.

— E che pensa Lei si dovrebbe fare per il meglio?

— Sono dell’avviso che se il Governo non interviene, e subito, con dei seri provvedimenti, la crisi cinematografica dilagherà, trascinando nella rovina anche buona parte dei 500 rappresentanti e concessionari italiani: per non dire della ripercussione necessaria sulle Fabbriche italiane.

Credo ancora conveniente debba essere studiato un nuovo unico regolamento governativo per l’esercizio delle sale cinematografiche, in sostituzione dei vecchi esistenti che sono diversi l’uno dall’altro per ogni singola provincia del Regno.

Potrà così essere evitato il grave inconveniente per cui quello che è permesso in una città, è proibito in un’altra, o viceversa.

L’industria cinematografica trasformatasi attraverso a tante calamità, esige che, pure i regolamenti che la governano, siano corrispondenti ai tempi nuovi, ed allo studio di tale regolamento sarebbe opportuno fosse chiamato a collaborare uno o più membri del Comitato Centrale dei Cinematografisti, per poter portare il contributo della loro esperienza.

Osservai anche che le pellicole di troppo lungo metraggio finiscono per generare stanchezza nel pubblico. La moda, oggidì invalsa, di svolgere soggetti occupanti pellicole di millecinquecento e più metri è assai discutibile, specialmente nella bella stagione, poichè il pubblico altrettanto si impazienta della lunga attesa nelle sale d’aspetto, quanto si annoia nel dover rimanere per molto tempo ad osservare lo svolgersi di numerosi quadri, riguardanti un medesimo soggetto.

Io, che da dodici anni sono un ostinato fautore della sola produzione italiana, nei miei locali vorrei permettermi di suggerire sommessamente alle nostre fabbriche: « Torniamo all’antico! ».Con pellicole più concise e di più limitato metraggio, si troverà modo di soddisfare maggiormente, e il proprietario di un salone, ed il pubblico che lo frequenta.

— Concludendo, cavaliere, il cinematografo non traversa dunque il suo miglior periodo!

— Come vede, il momento attuale cinemato•grafico è assai grave, ed occorre provvedere; i cinematografisti sono animati dalle migliori intenzioni e sono disposti, nel limite del possibile, a sacrificarsi specialmente in quest’ora storica del Paese nostro; ma, altro è sacrificio, altro è rovina!

I desiderata dei Cinematografisti, una classe che, ormai, occupa un posto cospicuo nel commercio italiano, meritano di essere presi in considerazione dagli uffici competenti e, per ciò che riguarda i soggetti cinematografici, sarebbe assai meglio sfruttare gli innumerevoli soggetti italiani, tenuti non sempre nella giusta considerazione e che darebbero appunto, in molti casi, il vantaggio di avere delle films non eccessivamente lunghe, come giustamente ha osservato in proposito il nostro intervistato.

(La Vita Cinematografica, 7-15 agosto 1917)