
Il pubblico domanda delle opere che parlino per noi, non delle frasi che parlino delle nostre opere. Ricordando l’accoglienza ultra benevola che il pubblico ha fatto a Judex e a Barrabas, la gratitudine m’impone di dire qualche cosa.
Eccomi quindi con la penna in mano, curvo sulla tavola del mio laboratorio ove sono posate ventisei bobine di film, ventisei dischi neri e lucenti uno sull’altro che pare attendano l’arrivo del discobolo che li deve lanciare nella pista. Sono fatti di materia preziosa nella quale sono amalgamati degli elementi venuti da tutte le parti del mondo: canfora di Formosa, nitrato di Chili, cotone di dovunque, innominabili prodotti chimici elaborati nelle formidabili officine coronate da fumaioli ciclopici. Un calcolatore potrebbe dirvi che vi è là dieci chilometri di film, con un totale di 520.000 immagini, e che ciò rappresenta una somma considerevole. Ed io potrei dirvi quanti mesi di lavoro ciò mi costa, quale pazienza, quali lotte contro gli uomini e contro gli elementi. Ora tutto ciò di fronte al giudizio del pubblico rappresenta zero. La sola cosa che conta è sapere se da questa massa di film si desti un principessa addormentata, che un mago risveglierà fra poco sotto il raggio della lampada meravigliosa, voglio dire una bella storia. Ecco il punto essenziale, la storia, il racconto, la finzione, il sogno, il resto non è che materia. Così la cosa più vecchia del mondo, che è la favola assoggetta ai suoi immortali capricci le più moderne invenzioni; le scoperte più prodigiose in luogo di sostituirla nello spirito umano, non servono che a ringiovanirla.
Louis Feuillade (19 febbraio 1873 – 25 febbraio 1925)