Cinema muto: il cadavere vivente

Der Lebende Leichnam 1929
Gustav Diessl e Maria Jacobini, Der Lebende Leichnam (Il cadavere vivente) 1929

Ogni tanto faccio una ricerca sul web con le parole “cinema muto” “cinema muto italiano” “cinema muto dvd” “cinema muto italiano dvd”, i risultati sono a dir poco scoraggianti…

Ricordate ritrovati restaurati invisibili? Tre anni fa scrivevo questo testo come presentazione del blog:

In questo blog si parla di un argomento sconosciuto. Sconosciuto, perché i film italiani del periodo muto sono invisibili, tranne che per un ristretto gruppo di addetti ai lavori, studenti universitari, ecc. Niente da dire sul magnifico lavoro che studiosi, cineteche e professori di università hanno svolto in pro del riscatto e la conoscenza di questo periodo nella storia del cinema italiano, ma non basta.

Immaginate un Museo che fosse accessibile soltanto per archivisti, professori e studenti.

Se è vero che il film non deve più essere considerato come un semplice prodotto economico fruibile, ma bensì come una ricchezza culturale, da qui nasce l’obbligo di preservare dalla perdita o dalla distruzione gli elementi di questo patrimonio e di conservarli per trasmetterli alle generazioni future, come si fà abitualmente nei confronti dei capolavori delle arti tradizionali, è altrettanto vero che le attuali tecnologie permettono un maggiore e più facile accesso a questo patrimonio. Bisogna aggiungere che c’è un grande interesse nelle nuove generazioni verso qualsiasi manifestazione delle immagini in movimento, ed il web ne è la prova.

Inoltre, come si fa a creare un interesse per la conservazione ed il restauro di un patrimonio invisibile per il grande pubblico?

Per quel che riguarda la questione del cinema muto come prodotto economico, lascio la parola a Kevin Brownlow, avverto che è un saggio di qualche anno fa, esattamente del 1971:

“Il film muti continuano a essere trattati in maniera ignobile da coloro che fingono di ammirarli. In questo che è un settore specialistico per eccellenza, si è infiltrata quella che non si può non chiamare Mafia. Alcuni individui che accampano oscuri diritti di copyright con stratagemmi che potrebbero essere utilizzati nelle trame dei film horror della Universal, hanno pian piano divorato fette enormi della storia del cinema muto. L’hanno rivendicata come loro proprietà. Un esempio recente: l’autrice di un libro di cinema si rivolge al BFI per avere una foto di Intolerance. Il BFI le suggerisce di chiedere l’autorizzazione ad uno dei signori che rivendicano la proprietà del film. Lei la chiede, ma deve pagare quindici dollari di riproduzione e cinque per la consulenza dell’avvocato. Questo è imperialismo artistico. Un articolo recentemente apparso su un giornale esaltava il bene fatto dal signore di cui sopra agli appassionati di cinema muto.

Quando venne fatto Intolerance, quest’uomo, che ha l’approvazione di molte importanti istituzioni di questo paese, non era ancora nato. E non ha neanche mai conosciuto D.W. Griffith, benché sia giusto dire che in campo finanziario ha dimostrato un maggior fiuto: con Intolerance ha infatti guadagnato più dell’uomo che lo aveva fatto. E’ improbabile però che le sue parcelle vadano ad arricchire qualche superstite del cast o della troupe del film. E gli altri personaggi famosi, del cui lavoro egli vive, sono ormai tutti morti.” (Not Another Silent, in The Silent Picture, Spring 1971, n. 10, adesso in Griffithiana n. 26-27 settembre 1986)

In tempi più recenti, nell’introduzione al volume Silent Movies (Peter Kobel and The Library of Congress, 2007), un sempre più entusiasta e deciso Brownlow scrive: “Forse la Biblioteca del Congresso non mi ringrazierà per questo, ma i restanti diritti d’autore sui film muti dovrebbero essere eliminati in modo che possano essere facilmente disponibili come i classici della letteratura”.

Questo del copyright, dicono i responsabili delle cineteche, è uno dei principali problemi per rendere accessibili i film restaurati (con i soldi pubblici, nella maggioranza dei casi). In effetti, anche in Italia abbiamo un problema molto simile a quello descritto da Kevin Brownlow. Ma non è un problema impossibile da risolvere, come hanno dimostrato altri paesi europei.

La maggiore visibilità, la promozione del cinema muto italiano, sarebbe buona per tutti, incominciando per gli addetti ai lavori (studiosi e cineteche), professori, studenti universitari, ecc…. e per quelli che come me vogliono condividere una passione.

Fin qui il testo di presentazione del blog. Tre anni dopo la situazione è più o meno la stessa. Con una differenza: molte più copie pirata del cinema muto italiano scambiate sul web… Il problema è che molte di queste copie sono in uno stato lamentabile, in confronto alle splendide copie restaurate conservate negli archivi. Vi sembra, care cineteche e pseudo proprietari di copyright, che questo sia il modo migliore di andare avanti?