L’arte di Chaplin secondo Diana Karenne

Diana Karenne
Diana Karenne

Se non quantitativamente, qualitativamente i nemici dell’arte muta non sono affatto più deboli dei loro difensori. Si scrivono e si dicono contro il cinematografo molte cose brutte, interessanti e vere. Vale la pena di ascoltare queste voci. La nuova arte è effettivamente piena di errori e difetti. Molti proibiscono recisamente al cinematografo di chiamarsi arte. Tra le ragioni di questa condanna è facile ricondurre alle due principali. La prima: il cinematografo, si dice, non ha nulla di proprio e utilizza soltanto le qualità degli altri; la seconda: il cinematografo non ha nessuna tradizione, nessun legame con le muse antiche, esso è nato casualmente, all’infuori dell’arte.
Questi argomenti li trovai, non tanto tempo fa, in un’interessante nota di un critico musicale (B. I. Pol, Cinema e musica). Il Pol insorge energicamente contro l’unione meccanica del cinematografo con la musica. Io non prendo sotto la mia protezione tutti i suonatori e tutte le orchestre di tutti i cinematografi. Essi suonano spesso assai male, ed i brani da loro eseguiti spesso non armonizzano con quello che si svolge nel film. Ma questo non vuol dire che il cinematografo e la musica non abbiano nulla in comune. A me sembra che ambedue siano ritmici e per questo vicini l’uno all’altra. Il ritmo e la musica sono quasi la stessa cosa; questo non si può dirlo subito del cinematografo; ma forse si può negare il suo ritmo?
Ritmicamente si susseguono i frammenti dell’azione spezzata, la quale, quando il film è in moto, si fa unica ed integra. Ritmico è il giuoco stesso degli artisti, la loro muta, ma espressiva, arte del gesto e della mimica, il legame della musica con il cinematografo non si può chiamare meccanico. Questo legame non è così stretto come tra la musica ed il ballo, ma è anch’esso organico, non casuale.
Insieme agli altri oppositori dell’arte muta B. I. Pol la chiama un’ospite mal invitata fra le altre arti antiche e riconosciute. In queste parole si ode di già quell’affermazione erronea alla quale aveva accennato prima : che il cinematografo, cioè, non ha tradizioni, che esso è senza famiglia, né patria, che esso è nato casualmente all’infuori dell’arte. Io risponderei a questo ricordando che nel fondamento del cinematografo vi è la pantomima, una delle arti più antiche.
Nell’altro capitolo del suo articolo, Pol esprime il dubbio se v’è qualche cosa di proprio nell’attore dell’arte muta. Come ho già detto poco fa, anche questo è uno dei capi d’accusa più comuni: il cinematografo, cioè, prende tutto dagli altri. Io dovevo discutere a questo proposito poco tempo fa in una risposta su un concorso cinematografico. Se il materiale della musica è l’altezza del suono; della pittura, il colore; della poesia, la parola; del teatro, l’artista ha un materiale indipendente e con null’altro paragonabile: il cinematografo è il raggio luminoso. Del raggio di luce si serve anche la fotografia comune, ma la differenza tra questa ed il cinematografo è enorme.
Nella fotografia comune non v’è moto, azione, dramma, attore, insomma nulla di quello che insieme con il giuoco del raggio luminoso costituisce il contenuto dell’arte cinematografica. Per parte mia avrei definito il cinematografo come l’arte della pantomima attraverso il giuoco del raggio luminoso.
L’arte muta, secondo me, possiede gli elementi delle vere arti classiche (pantomima) ed inoltre possiede qualche cosa di suo con nulla paragonabile (il raggio luminoso).
Tali sono le mie obbiezioni principali ai nemici del cinematografo.
Ma tutto ciò non è che teoria; mi è più piacevole il ricordare che davanti agli cechi abbiamo ora una migliore e vivente dimostrazione in favore del cinema, indiscutibile e raggiante esempio dell’ispirazione puramente cinematografica. Io parlo di Chaplin, il primo artista dello schermo.

Chaplin ha indovinato che muoversi e vivere sullo schermo è un’arte speciale difficile e nuova. La sua recitazione dimostra che l’espressività dello spettacolo cinematografico dipende da ogni gesto, dal vestito, dai suoi minimi particolari, (il bastoncino, la bombetta, le scarpe ecc.), dalla varietà delle situazioni drammatiche, dal senso di misura, dall’interna e non solo esterna compenetrazione della sua parte, e, forse questa è la cosa più importante, da quell’inafferrabile senso della propria arte, che stabilisce subito un legame tra l’artista e lo spettatore.
C’è in ogni arte qualche cosa di completamente «inafferrabile». La cosa principale del cinematografo si crea con una ispirazione felice e con delle brillanti trovate dell’attore, operatore o direttore artistico. Il cinematografo richiede dall’artista una speciale intuizione cinematografica che il Chaplin possiede più di qualunque altro. Se, parlando degli elementi del cinematografo, menzioneremo solo il raggio luminoso (fotografia ben distinta) o la pantomima (i movimenti dell’attore) con questo non esauriremo al fatto il contenuto dell’arte nuova. Rimane ancora qualche cosa di difficilmente definibile, che io chiamo l’ispirazione cinematografica. Adesso molti spiegano il successo di Chaplin col suo bergsonismo ed in genere con la sua conoscenza di filosofia. Le conoscenze scientifiche di Chaplin paiono a me ipotetiche e ad ogni modo poco importanti.
Non la disciplina mentale, ma un raro senso cinematografico lo ha aiutato a creare la magnifica figura di Charlot.
(segue)

4 pensieri su “L’arte di Chaplin secondo Diana Karenne

  1. L. Uffer

    Messieur, Mesdames
    Où est-ce que je trouve la publication originale de cet article de Diana Karenne sur Chaplin?
    Merci en avance pour votre information.
    Avec mes meilleures salutations
    Lucien

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