
Stanno i vecchi comici un po’ in disparte dagli altri, un po’ tristi, un po’ stanchi. Li turba il quotidiano vociare della gente intorno; se vi avvicinate assumono taluni una certa quale aria di protezione e trovano modo di dirvi per la centesima volta dei loro quarant’anni di palcoscenico e dei trionfi di un tempo. Certo, rimpiangono la vita errabonda della loro giovinezza, certo, non si abitueranno mai a non avere più davanti agli occhi, lavorando, una fila di piccoli lumi e in fondo, nel buio del teatro, la folla che guarda, che respira, che giudica.
E sui vetri batte intanto la pioggia, questo orologio della malinconia e ognuno ha dentro di sé l’autunno.
Brevi tregue di calma, del resto, dal teatro il direttore artistico chiama con tre rapidi fischi a raccolta e allora per i corridoi, per i camerini è un fruscio di sete, uno sbattere di porte, un ondeggiar di veli, un affrettarsi in cortile e qui scrosci di risa e sollevar di gonne e piccole grida nel saltar pozzanghere; e burle e richiami e incitamenti: il sole è balzato fuori da una finestrata di azzurro nel ciclo e nell’anima.
E con il sole si parte spesso per andare a far scena altrove, lontano, sulla riva del mare, sui monti; si parte in automobile o in ferrovia, a seconda delle distanze e del numero dei partenti.
Si raduna la carovana, di solito abbastanza esigua, alla prima alba: giungono gli attori pieni di sonno e con le mani ingombre di pacchi: si raccolgono a un qualsiasi caffè notturno: le vie sono spopolate, i fanali appena spenti: passano i carri dei lattivendoli per le strade deserte. Giunge l’ultimo ritardatario che è quasi sempre un uomo — nella vita le donne sono terribilmente puntuali — e si parte.
La voce dell’arrivo nei villaggi o nelle piccole città si sparge in un attimo e già prima di cominciare voi avete alle spalle un codazzo di gente che vi segue commentando.
« E che fanno ora ? E dove vanno ora ? E perché è vestito a quella guisa, quello là? ».
Quando si svolge una vera scena la folla la interpreta a modo suo e si commuove e le discussioni si accendono. Qualcuno domanda il titolo del film, altri — se avete con voi qualche attore o qualche attrice nota — lo riconosce o la riconosce e allora è un intrecciarsi di domande e di esclamazioni.
— Ti dico che è lei!
— Ma no!
— Ma si! Allora aveva la parrucca bionda.
— Non è possibile che sia lei ! Non vedi che è più bella!
E la curiosità popolare vi tumultua intorno con la sua singolare e rispettosa inquietudine.
Dice una pescatrice: « L’ho vista nella pellicola in cui il marito la batte e che le muore la bambina, povera donna! ». E la voce è vibrante di pietà. Dice il vicino: « E lui, vedi, quello magro, è lui che faceva il marito ». E sono sguardi di rancore.
Si bivacca quasi sempre all’aria aperta in questi casi: sulla riva del mare o presso a una siepe o seduti sulle rocce e l’appetito non fa difetto anche se il sedile è mal comodo. Si mangia in crocchio, alla buona. fraternamente; gli attori non si struccano neppure per non far tardi dopo e sgranocchiano le vivande tra il muovere delle mascelle e l’ondeggiare delle barbe posticce.
Infiniti aneddoti si potrebbero raccontare per illustrare la bizzarria gioconda di questi vagabondaggi campagnoli.
Tempo fa a Parigi alcuni cantanti francesi interpretavano in film una grande casa italiana un’opera russa. Era protagonista nel film come nell’opera, Jean Bourbon, il notissimo baritono francese che cantò anni sono alla Scala Habanera e che è stato recentemente scritturato all’Opera di Parigi.
Il notissimo cantante, che è nella vita un bellissimo giovane, era per l’occasione truccato da Ivan il Terribile e vestiva il caratteristico manto di velluto rosso fregiato dalla croce. — Si era a Fontenay-sur-Bois. — I macchinisti stavano montando il campo di Ivan e le tende: la giornata autunnale era deliziosa, la « banlieue » lungo un placido corso d’acqua fuggiva vestita di giallo e d’oro verso l’orizzonte. Jean Bourbon si era evidentemente dimenticato la sua orribile trasformazione e la ragione per cui si trovava in campagna: il fatto è che cominciò a perseguire con lazzi e complimenti una piccola barca bianca, montata da due graziose parigine, che andava lentamente alla deriva.
— Oh! l’affreux évêque! — disse una di esse levando gli occhi verso di lui. — Il est laid, celui-là.
Alla voce, Bourbon la riconobbe. Era una piccola ballerina dell’Olympia.
— Mais comment, Cecile, ne me reconnais-tu pas ? Je suis Bourbon.
— Bourbon, toi? Zut! T’est son grand pére, toi!
— Mais je t’assure…
— Tais toi!
— Viens donc voir!
— Ta bouche, bébé!
E la piccola ballerina dell’Olympia si sdraiò di nuovo vicino alla compagna mentre Ivan il Terribile risaliva meditabondo la scarpata e andava a rifugiarsi zitto zitto sotto alla tenda.
Un’altra volta un attore doveva fingere un suicidio in ferrovia. L’attore era pronto, le prove erano fatte, la macchina di presa vedute cominciò a funzionare. Proprio nel momento in cui l’attore stava estraendo la rivoltella per suicidarsi capitò a passare nel corridoio una vecchia signora inglese che si reca per la colazione al wagon-restaurant. Vede, spalanca gli occhi, getta un grido da far invidia a un’attrice di cartello, si scaraventa nello scompartimento vicino, si attacca al segnale d’allarmi e fa fermare il treno. Vi lascio immaginare la confusione che ne derivò, il via vai per i vagoni, l’affacciarsi delle teste ai finestrini, l’intrecciarsi delle domande, il panico dei viaggiatori. L’unico che non si perdette d’animo fu l’operatore: girò la macchina verso il corridoio affollato e continuò a cinematografare la confusione; né mai scena di panico in treno fu più naturale né significativa.
Strana vita certo, questa degli artisti da cinematografo: strana, faticosa sempre, spesso ingrata. Eppure anche qui ci si nutre d’entusiasmi come sulla scena e la gioia di rivedersi vivere sulla tela in un romanzo sia pure grossolano fa dimenticare agli attori i disagi e le malinconie quotidiane: non era forse molto simile il sentimento che rianimava i comici vaganti sul carro di Tespi?
Carro di Tespi: ricordo di tempi lontani. Vedo la misera casa traballante sull’acciottolato sconnesso di una strada campagnuola del seicento: il Tiranno conduce per il morso il magro cavallo normanno mentre Isabella canta affacciata ad una delle finestre. A quale fattoria arresterà il suo vagabondaggio la schiera dei comici ? Quale nobile signore ubriacone tenterà di vincere la soave verecondia di Isabella, o lusingherà con qualche dono l’astuta servetta? Quale rubiconda ostessa sarà sedotta dalla grazia di Leandro ?
Il carro va va va lungo il filare di pioppi e l’Arte, la… commedia dell’Arte se ne va con esso peregrinando e ciascuno di noi ha il cuore che gli somiglia un poco, perché anche il nostro cuore è vagabondo e i nostri sentimenti sono molto spesso truccati come dei comici per la gioia delle ostesse o dei nobili signori ubriachi.
Gli somiglia ma non è lui. Il carro di Tespi si è fermato. Il nostro cuore vagabonderà senza rimedio. C’è forse un rimedio contro la nostalgia?
NINO OXILIA