Attori che non parlano, di Nino Oxilia (2)

Preparativi
Preparativi

Di solito le scene all’aperto, gli « esterni », si eseguiscono dopo finite tutte le scene di « interno ». Finito il film e stampata la prima copia di tutte le scene eseguite, il direttore artistico le raduna e le ordina, rifa quelle che non gli piacciono; quindi si attaccano le scene tra di loro, si preparano i sottotitoli del film e lo si vede nella apposita cabina di proiezione.

Questo è il metodo comune di lavoro: ogni casa segue del resto nella distribuzione del compito i propri criteri che differenziano però assai poco gli uni dagli altri.

Anche in film esiste il « genere » come a teatro. C’è la comica « a cascades », la commedia, il drammaccio da arena molto ricercato dal mercato inglese, il dramma moderno e il dramma in costume. Non sempre un direttore fa più generi nel medesimo tempo ed è perciò che le compagnie sono quasi sempre specializzate. Ciò facilita l’orientarsi del cinematografo verso una forma d’arte: forma nuova ancora indecisa e malsicura ma che cerca già qua e là di stilizzare la forma concreta della verità in certi suoi atteggiamenti tipici.

E gli attori sono che hanno questo compito e i coscienti se lo sono assunto con gioia. Vivono insieme: si vive di luce, di aspirazioni e di piccoli pettegolezzi: i pettegolezzi sono le distrazioni della vita in comune. Si parla d’arte spesso senza criterio, qualche volta assennatamente, sempre con entusiasmo: è un ambiente giovane quello del cinematografo e ne ha tutte le caratteristiche; gli attori sono per lo più disposti a gettarsi nel fuoco pur di far bene; hanno la smania di discutere, di paragonare, di esaltare, di distruggere: caratteristiche di giovinezza, segni distintivi di un periodo ascensionale, buoni segni di vitalità nuova. Si discute, si grida, si canta: si vive come si può, si lavora come i torrenti balzano sulle rocce. Solo i vecchi comici provenienti dal teatro di prosa non prendono parte all’esaltazione comune: assistono impassibili al tumulto: su gli uni e su gli altri splende il sole, il buon sole, compagno nella fatica quotidiana.

Sole, luce, bellezza. La bellezza fisica, che è stata per tanto tempo una delle doti più importanti per i cultori di Talia, è ancora indispensabile a chi voglia dedicarsi come attore alla cinematografia. Indispensabile specialmente alle donne. Come una volta il popolo greco per le danzatrici di Efeso, così oggi, nelle sale di proiezione, il pubblico non decreta il successo o la notorietà a un’attrice o a un attore se il suo occhio non è anche appagato dalla bellezza fisica. Tutte le attrici cinematografiche celebri, italiane o straniere, sono belle. La loro notorietà non è però, come dai più si crede, dovuta soltanto a questo: occorrono anche qui delle vere qualità di espressione, di semplicità, di atteggiamento e di osservazione per giungere a farsi notare ed amare dagli spettatori. Ricordo di aver visto attori piangere veramente rendendo una scena di dolore, di averne visti altri tremare dopo una scena d’angoscia ed erano quelli stessi che il pubblico amava. Perché anche qui il pubblico ha i suoi prediletti che se non ricevono — per la gioia della loro vanità — applausi o fiori, pure sono fatti segno da tutte le parti del mondo all’omaggio epistolare dei loro ammiratori sconosciuti.

Nessun omaggio più strano e più sincero di questo. Il maggior contingente di lettere è dato dall’Inghilterra e dalla Russia: molte ne giungono dalla Germania, qualcuna dalla Francia: la proporzione è in rapporto al maggiore o al minor numero di copie vendute dalla Casa cinematografica nei dati paesi. Sono lettere curiose, di gente ignota; un osservatore potrebbe dilettarsi a raccoglierne di veramente interessanti. Molte, è naturale, sono lettere d’amore. — Lettere e versi — Leggevo l’altro giorno una lunga poesia inviata da Tunisi a una nobilissima attrice italiana:

« O ma belle inconnue snntifiée par la flamme, Jeanne d’Arc et Lisabeth, o toi qu’en vain j’adore, si je n’entenderai jamais chanter ta voix sonore, bien de fois ton régard faira chanter mon âme… ».

L’attrice a cui i versi erano dedicati li leggeva nel suo camerino ad alcuni compagni: fuori pioveva. Quando piove i teatri e i corridoi così pieni di vita, così affollati quando si lavora, sono silenziosi e deserti. Qualche trave, qualche abetella dimenticata sotto la pioggia è l’unico segno che ricordi l’ansia delle giornate di sole. Gli attori si rifugiano nei camerini che sono molto spesso dei veri deliziosi salottini o, se c’è, nella sala di convegno e aspettano che ritorni il sereno. Si fuma e si chiacchiera a mezza-voce: sembra di rivivere in una di quelle giornate di spleen senza rimedio che vi capitano tra cuore ed anima a bordo dei transatlantici dopo qualche giorno di navigazione. Chi gioca alle carte, chi sonnecchia, chi canta sommesso: altri sta accucciato sui cuscini, altri legge allungato su un divano: una malinconia inespressa e incompresa è in tutti. Con la fronte ai vetri i vecchi comici di teatro stanno novellando tra dì loro di Gustavo Modena e del debutto di Virginia Marini: li riconoscete subito all’atteggiamento e alla voce piena, avvezza al palcoscenico, alla pelle del viso segnato da rughe, affloscita dall’uso dei cosmetici e delle vaseline. (segue)

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