Cinema muto in Svezia 1912

La storia del cinema muto raccontata da chi l’ha vissuta. Il primo incontro col cinema di Victor Sjöstrom.

Vampyren 1912
Victor Sjöstrom in Vampyren 1912

In che modo ho incominciato a fare del cinema? E’ accaduto cosi.

Einar Fröberg ed io avevamo una compagnia di prosa e ci trovavamo a Malmoe, dove mettevo in scena Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare.

Una sera suonò il telefono: era il mio vecchio compagno di scuola Kaifas, al secolo redattore Erik Ljungberg, che allora si interessava di cinema. Il soggetto del Regina von Emmeritz per Charles Magnusson della Svenska Biografteatern di Kristianstad era opera sua.

Mi chiedeva se mi sarebbe piaciuto fare del cinema. Certo che mi sarebbe piaciuto. Ero curioso della nuova forma d’arte, e convinto delle sue possibilità. Avevo visto una volta, in un film americano, una scena che mi aveva fortemente impressionato. La ricordo ancora chiaramente: un giovane stava all’incudine battendo il ferro. La moglie l’aveva abbandonato ed egli non l’aveva più vista da tanti anni. Quando lei compariva improvvisamente nell’officina egli nell’alzare gli occhi dal lavoro incontrava lo sguardo della moglie. Fu proprio quello sguardo a convincermi delle possibilità del cinema: la faccia del fabbro era illuminata dal basso, cosa che non sarebbe mai stata realizzata in teatro, pensavo.

Ero curioso dell’arte cinematografica, curioso del come si facevano i film. Inoltre avevo sentito dire che la vita era allegra e piacevole negli ambienti cinematografici di Kristianstad. Non vi si lesinava: perché non avrei dovuto avere anch’io la mia fetta di torta? Però avevo un accordo con Einar Fröberg: avevamo scritturato degli attori e firmato qualche contratto d’affitto di teatri per la successiva stagione. Infine mi decisi a rimettere la soluzione a lui stesso e una mattina s’incontrarono in conferenza plenaria Fröberg, Magnusson e Jens Edward Kock, in una stanza tetra dell’Hotel Kramer. Mi sembra di ricordare che fosse nel febbraio 1912. Fröberg si interessava per conto mio del contratto. Decisero che dovevo debuttare in cinema nell’estate: avrei incominciato in maggio per poi tornare al teatro in inverno. Lo stipendio era principesco: 15.000 corone, somma che — detto fra parentesi — veniva inghiottita dalla voragine del teatro. Il cinema doveva aiutare il teatro.

Era mia abitudine ogni primavera, al termine della stagione teatrale, in maggio, recarmi a Londra ad assistere agli spettacoli che vi si davano e così feci anche quell’anno. Ma a Parigi mi raggiunsero Magnusson ed il rappresentante della Pathé, Popert, i quali pretendevano che studiassi il cinema con loro. Certo mi sarebbe stato utile guardarmi un po’ attorno nella capitale mondiale del cinema d’allora. E così visitammo gli studi della Pathé, allora di fama internazionale, dove fummo ricevuti molto gentilmente perché la Svenska Biografen aveva cominciato a collaborare con la società francese che presentava i suoi film in Svezia. Gli studi non erano un gran che, però molto più spaziosi e belli di quelli che avevamo allora in Svezia. Mi ricordo d’avere visto una sequenza con Mistinguett: il comico Lehmann entrava con un mazzo di fiori ed inciampava davanti alle famose gambe della diva. Era, naturalmente, molto buffo, ma io mi interessavo di più all’attrezzatura dello studio: gironzolavo copiando furtivamente le decorazioni e la loro posizione.

Ritornati a Stoccolma si cominciò a girare. La Svenska Biografteatern si era trasferita dai suoi studi di Kristianstad ai nuovi studi di Lidingö. Alcuni film, realizzati già a metà a Kristianstad, dovevano essere ultimati e ne dovevano essere iniziati altri con nuovi elementi.

Mauritz Stiller era già al lavoro. Allora lo conoscevo appena, essendogli stato presentato casualmente una volta. In teatro Stiller aveva recitato in Pastor Jussilainen e Bakrom Kuopio del finlandese Gustaf von Numers e il suo primo lavoro alla Svenska Bio fu una fusione di queste due opere. In quel periodo Stiller scriveva parecchi soggetti e nel film tratto dai lavori di Numers che era quasi ultimato quando arrivai io Stiller figurava come attore. Oltre questo film alla Svenska Bio ne stavano pure girando un paio con Anna Norrie.

Il mio primo lavoro lo ebbi nel capolavoro di Stiller Vampyren (1912) su soggetto scritto da lui stesso. Ero sbalordito dal fatto che un regista dovesse anche scrivere da se stesso i soggetti. Era un problema che mi dava grandi preoccupazioni. Ero abituato al teatro, dove il lavoro del regista e degli attori consisteva nel rappresentare, interpretandola, l’opera dell’autore. Ogni tanto ci si poteva permettere di cancellare qualche scena o qualche battuta, ma l’aggiungere un solo rigo era considerato un delitto, tanta era la stima che si aveva per gli scrittori. Ma qui si doveva essere scrittori per i propri film.

Vampyren cominciò ad ogni modo coll’esser proibito dalla censura. Poco dopo diressi il mio primo film Världens grymhet (1912, trad. lett. La crudeltà del mondo) ovvero Trädgardmästaren (trad. lett. Il giardiniere), nel quale impersonavo una figura di seduttore. Lilly Beck era la sedotta e la scena della seduzione si svolgeva in una serra, dove Lilly Beck moriva in bellezza circondata dalle rose e dai vasi spezzati.
Terribilmente bello e pieno di sentimento: ma il film fu proibito dalla censura.
Fra i partecipanti si notava un robusto ragazzo che si chiamava Gösta Ekman (diventato poi uno dei migliori registi svedesi).

Fui più fortunato con De svaria maskerna (1912, trad. lett. La maschera nera) il “clou” della stagione. Il soggetto era di Magnusson e Stiller, e Stiller ne fu anche il regista. Io avevo la parte del protagonista, un tipo che possedeva dei documenti importanti dei quali una banda nemica voleva impossessarsi. La banda decideva di farmi sedurre, il che riusciva benissimo anche se avevo già una fanciulla del cuore, che faceva la ballerina sulla corda. La seduttrice, Lilly Beck veniva poi mandata al fuoco, mentre io catturato, ero segregato nella soffitta di una casa alta sei piani. Ma l’amore della ballerina sulla corda, Gunnel Holzhausen, era cosi grande da spingerla ad affittare una stanza nella casa di fronte alla mia prigione, dalla quale mi buttava una corda che io fissavo: poi, reggendosi in equilibrio, arrivava fino a me e mi faceva fuggire. Ma la seduttrice ci vedeva mentre ci allontanavamo traballando sulla corda e piena di rabbia dava fuoco alla corda che si spezzava. Noi precipitavamo giù vertiginosamente, come Tarzan aggrappato ad una liana e malgrado il salto e l’ondeggiamento pauroso, venivamo salvati. Lieto fine.

De svarta maskerna 1912
Gunnel Holzhausen e Victor Sjöstrom in equilibrio sulla corda, mentre lavorano al film De svarta maskerna 1912

La scena sembrava molto reale perché allora non si usavano inquadrature riprese da vicino. La scena fu fotografata in due tempi. La corda era tesa sopra un tetto non molto alto e parallelamente ad essa correvano, invisibili, due fili di ferro ai quali ci sostenevamo: il fotografo Julius Jaenzon prendeva le foto da sotto in su, verso il cielo chiaro. Poi venne fotografata la casa a sei piani da sola, vista dalla strada, con una pellicola speciale: indi i due negativi vennero sviluppati insieme. Il nostro equilibrio, alla proiezione, sembrava in grave pericolo. Sul tetto sotto la corda c’era una carriola e durante una ripresa Magnusson ordinò : « Portate via la carriola e metteteci invece una coperta » per il caso che fossimo caduti.

Dapprima non s’aveva molta stima per la nobile arte del cinema: era impossibile averne. Come sarebbe stato possibile stimarla quando, ad esempio, a Gunnel Holzausen e me, che recitavamo in un teatro di Hälsingborg, arrivava improvvisamente un dispaccio che diceva: « La scena finale del film De svarta maskerna deve essere rifatta. I russi esigono un finale triste ».

Il film si proiettava già in molte parti del mondo e doveva essere immesso sul mercato russo, ma là non apprezzavano il salvataggio finale malgrado l’incendio della corda: dovevamo precipitare a terra e morire. Non ci restava quindi che partire per Stoccolma e stenderci a terra in una pozza di sangue.

Le riprese alla Svenska Bio si svolgevano sempre in un clima di allegria: ad esempio in En sommarsaga (1912, trad. lett. La saga di un’estate) alla quale partecipavano Hilda Borgström e Axel Ringvall, Victor Lundberg girava in mutandoni penzolanti fino alla caviglia.

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