La velocità di proiezione nei Cinematografi

È l’argomento del giorno. Giornali italiani ed esteri si sono occupati della questione con insistenza, citando dati di fatto, e prospettando i danni che a tutte le categorie di interessati vengono a risultare dal trattamento poco accurato e poco pratico cui vengono spesso assoggettate le pellicole da parte degli operatori.
Ecco cosa scriveva il giornale Il Film di Napoli, in data 20 novembre 1923, sotto il titolo di «Tristia»:

Tristia

La spudoratezza degli operatori di cabina ha oramai raggiunto il colmo.

È di ieri l’incidente occorso in un Cinema cittadino in cui si è incendiata una intera pellicola. Una disgrazia può capitare a chiunque, e l’operatore a cui è occorso l’incidente avrebbe potuto giustificarsi: ma ogni giustificazione cade di fronte a due gravi osservazioni: 1) l’operatore non era in cabina al momento del sinistro ; 2) non una sola bobina è andata incendiata, ma tutta la pellicola, perchè le bobine già proiettate e quelle da proiettarsi trovavansi a brevissima distanza dalla macchina. Il vero fatto è che tutti gli operatori di cabina, a parte pochissime onorevoli eccezioni, non hanno nemmen lontanamente il senso della propria grave responsabilità; ed in ciò hanno colpa gli stessi proprietari di locali — e i direttori di sala che sanno soltanto riscuotere le loro provvigioni, non sempre commerciali — perché non pretendono dagli operatori una maggiore disciplina.

Abbiamo assistito or non è molto alla première di un importante film qui in Napoli e quantunque siamo abituati, purtroppo, a veder proiettare dei films a velocità pazzesche, non mai avevamo assistito ad una simile frenesia della velocità. Figurarsi che le persone nel passare da una scena all’altra, scomparivano dallo schermo non già nettamente, ma offrendo una specie di salto nel vuoto, tal quale come si abbattono seccamente, nei bersagli da fiera, i fantocci colpiti da proiettili ben diretti. Il nostro Direttore ha avuto occasione di assistere a Roma alla première del The Kid e c’informa che il bellissimo film ha perduto il 50 per cento del suo valore a causa della vertiginosa proiezione che permetteva appena di leggere le didascalie a metà.

Un tale sconcio: torna di danno al proprietario del Cinematografo perché il pubblico si disgusta di una proiezione che dà il mal di mare, che non lascia seguire l’azione, che non permette perfino di leggere le didascalie; torna di svantaggio gravissimo al noleggiatore per il logorìo eccessivo della pellicola e per il successo, certamente diminuito, della stessa, di gravissimo danno alla Casa produttrice, perché in forza d’una cattiva presentazione un buon film può cadere, e noi vorremmo che un bel giorno qualche Casa produttrice intentasse a qualche proprietario di sala una causa per risarcimento di danni a causa della cattiva presentazione di un film. Abbiamo già altre volte ricordato la elegante questione posta da Joe May ai Tribunali americani, questione che gli fruttò un bel mucchio di dollari. Specialmente nell’Italia Meridionale le presentazioni dovrebbero essere fatte con maggiore accuratezza, perché presso di noi vige il costume di concedere agli operatori una notevole percentuale sui films proiettati, i quali operatori asseriscono che necessaria è la percentuale perchè i proprietari, fidando su quella, dànno delle paghe troppo basse, E avviene perfino che certi direttori (e anche proprietari) dividono con gli operatori.

Il costume vale legge, resti quindi l’uso della percentuale, ma se proprio i signori operatori di cabina continuassero a non volere intendere ciò che altro non è che il loro stretto dovere, sarà il caso di fare un accordo per abolire la percentuale. Al che i signori operatori potranno rispondere… deteriorando a bella posta le pellicole! Ma per questo c’è il procuratore del Re!

Da parte sua la Cine-Fono di Napoli pure insiste sull’argomento, accusando apertamente gli operatori di cabina di negligenza ed i direttori di Cinema di mancanza di criterio nella scelta del personale nonché di poca sorveglianza.

Il fatto che i giornali sopra citati vedono ambidue la luce a Napoli, starebbe a dimostrare che gli inconvenienti maggiori a questo proposito si verifichino nell’Italia Meridionale. In realtà il fenomeno non ha assunto nell’Italia Settentrionale proporzioni così allarmanti. Ma, in tono minore e con minore intensità, esso avviene pure da noi.

Noi non crediamo che il fatto tanto deprecato sia attribuibile ad un principio di «sabotaggio».

Nella maggioranza dei casi è l’ultima visione della sera che procede ad una velocità dannosa alla pellicola come alla bellezza ed all’interesse dello spettacolo.

Riteniamo piuttosto che all’inconveniente si possa rimediare con un po’ di attenzione e di scrupolosità da parte degli operatori, e, dove non basta, con un’attiva vigilanza dei direttori.

Che il fenomeno non abbia un carattere prettamente locale e che esso sia fonte di preoccupazioni anche al di là delle Alpi, è dimostrato poi da due articoli di Mon Ciné e del Film Français, che, all’insaputa della campagna fatta dai giornali di Napoli, mettono in evidenza quanto sia facile il disgustare gli spettatori con una proiezione lanciata ad una velocità vertiginosa. La Camera Sindacale della Cinematografia francese s’è interessata della questione a tal punto, da studiare un sistema d’ispezione regionale a funzionamento continuo e regolare.

Ma l’amore e lo spirito di devozione alla propria professione, da parte dell’operatore, e l’interesse suo stesso a che il pubblico venga attratto nel locale, oltreché dalla bellezza del film, anche dalla perfezione tecnica della proiezione, costituiscono, ripetiamo, la via da seguire per giungere al rimedio. L’operatore, operaio specializzato, tecnico ed intelligente, deve saper da solo e senza che lo si debba richiamare all’ordine diversamente, discernere gli errori in cui può incorrere nell’esercizio della sua professione e porvi rimedio senza necessità di influenze superiori. E siamo tanto convinti che all’inconveniente verrà ovviato per via naturale, che sull’argomento confidiamo non ci sarà più data occasione di ritornare.

Torino, gennaio 1924

Una sala storica: Il Cinema Teatro Capranica a Roma

Roma, settembre 1914

Stando alla iscrizione che si legge nel fregio di una delle porte principali, il palazzo, nel quale si trova la sala del già Teatro Capranica, fa condotto a termine nell’anno 1451. Esso fu fatto costruire, sotto il pontificato di Nicola V, dal cardinale Domenico Capranica, che ne voleva fare la degna sede del Ginnasio da lui fondato.

Se non che vicende di successione fecero sì che il palazzo divenisse la residenza della famiglia del cardinale, la quale però, ossequente al volere del defunto, fece costruire nel 1478, attiguo al palazzo stesso, il Collegio che è precisamente quello che tuttora esiste, prospiciente il vicolo prossimo, e che ha il suo ingresso principale sulla piazza.

Rimasto adunque il palazzo in libero possesso della famiglia del defunto cardinale; provvide questa, nell’anno 1679, ad abbattere due appartamenti interni di tre stanze ciascuno, per quivi formare una sala per accademie, com’era in uso presso quasi tutte le nobili famiglie di quel tempo.

Detta sala, sebbene costruita in modo poco solido e precario, fu adibita a rappresentazioni musicali, le quali, da private che erano, divennero ben tosto pubbliche, data la centralità del luogo ed il difetto che allora v’era di locali adatti per pubblici spettacoli.

Nell’anno 1695 la sala assunse aspetto di vero e proprio teatro, in quanto che all’ingiro di essa vennero costruiti, su disegno dell’architetto Buratti, sei ordini di palchi.

Troviamo, d’allora, più volte ricordato, negli annali dell’arte melodrammatica italiana, il Teatro Capranica, come quello che per lungo tempo ospitò le migliori compagnie ed offrì gli spettacoli più pregevoli per allestimento.

Ma la costruzione del teatro che, tutto legno e cartapesta, aveva conservato quel carattere di precarietà che ricordava, attraverso i tempi, le origini di esso, trovò una minaccia seria, che si cangiò ben tosto in una disposizione tassativa, in quelle provvide leggi per l’ incolumità delle persone, le quali leggi, col progredire della civiltà, fecero strada e non tardarono, giustamente, ad imporsi.

E la storica e gloriosa sala del vecchio Teatro Capranica finì col chiudersi.

Occorreva, per poterla riaprire, di apportare ad essa quelle radicali trasformazioni che, in obbedienza alle leggi ed ai regolamenti sull’esercizio delle sale di pubblici spettacoli, garantissero il pubblico da ogni minaccia di pericolo; occorreva non già restaurare ed abbellire, ma bensì demolire e rifare; occorreva, insomma, l’impiego di vistose somme, tali che, nonostante lo sfarzo dei locali congeneri, riuscissero a porre questo, non già tra i primi soltanto, ma primo in modo assoluto, isolato, lungi da qualunque confronto. e

A tutto questo ha munificamente provveduto l’Ecc.ma Casa Capranica, la quale, approvando il bel progetto dell’Ing. Cav. Carlo Waldis, ha disposto la esecuzione di esso, dando senz’altro l’autorizzazione per l’inizio dei lavori.

Ed ora qualche notizia, vera e propria indiscrezione, su quello che sarà la sala.

Si aprirà essa sulla Piazza Capranica — vicinissima a Piazza Montecitorio ed a Piazza Colonna — sul mirabile fronte del palazzo omonimo, monumento nazionale di terza categoria. Un vestibolo amplissimo, riccamente decorato, immetterà, per una magnifica scalea, alla grandiosa sala degli spettacoli, che sarà preceduta da sale minori, di trattenimento e di attesa.

La sala degli spettacoli, di forma rettangolare, sontuosa, vastissima, degna in tutto e per tutto delle sue tradizioni storiche, sarà indubbiamente quanto di più ricco e di più grandioso si sia mai visto nel genere.

Dalla pavimentazione al soffitto, dalle spaziose gallerie alla platea, tutto riuscirà un’opera d’arte compiuta e perfetta, e non un tutto visto e giudicato nel complesso, nell’effetto dell’insieme, ma bensì nell’indagine minuziosa del particolare.

La sala sarà dotata, oltrechè dello schermo, di un vasto palcoscenico, adatto per eventuali spettacoli di varietà.

I lavori sono già all’inizio e, risoluta la questione sorta circa i diritti dei palchettisti del vecchio teatro, i locali verranno sgombrati dalle tarlate armature ed incomincerà senz’altro l’opera alacre e fattiva di rifacimento.

A quando il compimento di essa e, conseguentemente, l’inaugurazione del grandioso Cinema-Teatro?

Su questo, veramente, non potremmo, per ora, pronunziarci; ma, dato che molto, anzi troppo, abbiamo già detto, aggiungiamo che essa avrà luogo, molto probabilmente, nei primi mesi dell’anno 1916.

Il Cinema Odeon

La vasta sala con la cupola, vista dal palcoscenico

Milano, settembre 1930

Il Cinema Odeon di Milano merita specialissima attenzione, come meritano specialissima lode quelli che l’hanno voluto e quelli che l’hanno costruito. Concepito come edifizio che fosse di onore a Milano e all’Italia, e come tempio d’arte, esso è riuscito veramente l’una e l’altra cosa, da qualsiasi punto di vista lo si consideri: bellezza e purezza di stile architettonico, maestosità, capacità, comodità, ricchezza che raggiunge l’opulenza più fastosa.

Sorto sull’area occupata anticamente dallo storico e famoso Monastero di Santa Radegonda, passato poi attraverso molteplici vicende, la massa monumentale del Cinema Teatro Odeon occupa una vastissima estensione di terreno, tra Via Santa Radegonda e Via Agnello, e non aspetta che il piccone del piano regolatore abbatta gli ultimi vetusti fabbricati di Via Magnani, per apparire in tutta la sua maestosa imponenza anche a chi guarda dalla Galleria Vittorio Emanuele.

Il progetto comprendeva lo sfruttamento di quell’area ingentissima e centralissima per la costruzione di un edifizio di grandi proporzioni e di artistico sfarzo, che sorgesse come degno continuatore della linea d’imponenza e di sontuosità disegnata dalla Galleria e dal palazzo della Rinascente, e che, in parte preponderante, racchiudesse locali di divertimento e di svago. Il meraviglioso edifizio, infatti, comprende il bellissimo Teatro Odeon, nei locali sotterranei; al pianterreno il Cinema Odeon, che non ha nulla da invidiare a i migliori del genere in Italia e all’Estero, e può superare i più celebrati tra quelli per alcune sue peculiarità d’arte e di buon gusto latini; a i piani superiori un enorme salone che probabilmente sarà sistemato a Ristorante; e, in cima, una grande terrazza, con l’incantevole panorama della città sottostante, e della cerchia delle Alpi all’orizzonte.

Il primo miracolo compiuto da gli ideatori, Ing. Laveni e Architetto Avati, fu quello della celerità con cui furono portati a termine i moltissimi e difficilissimi lavori di abbattimento, di scavo, di elevazione. Gli altri miracoli hanno carattere puramente tecnico, che questo non è posto per descrivere, e neppure per elencare. A noi basterà ricordare che ammirabili e sapienti ricerche, profondi studi fin dei più minuti particolari, unità di vedute, intima collaborazione furono la base di tale rapidità di costruzione, e la ragione della bellezza di questo edifizio, per il quale la Società Rinnovamento Edilizio Via Agnello, e per essa i maggiori esponenti Comm. Carlo e Luigi Delle Piane, avevano sgombrato il campo di azione degli ideatori e costruttori da ogni preoccupazione in fatto di limitazione di spesa.

Salone di aspetto e ingresso alla galleria

I Fratelli Delle Piane, nell’accettare il progetto, non videro in esso una eccellente speculazione immobiliare; vollero vedervi, invece, una grandiosa opera di abbellimento di Milano, cuore e cervello d’Italia, e loro patria d’adozione, ch’essi amano e venerano come la stessa città che ha dato loro i natali. Vollero che fosse, anzitutto, e più che un ottimo impiego di capitali, un segno tangibile e duraturo del loro affetto. E alla poderosa e nobilissima impresa si dedicarono non soltanto con le loro vastissime disponibilità finanziarie, ma anche con la loro opera personale, concorrendo con discussioni e con consigli all’attuazione del progetto Laveni-Avati.

Sorse, così, il Cinema Teatro Odeon, la cui caratteristica principale è la profusione della ricchezza non disgiunta tuttavia da puro sentimento d’arte e da squisito buon gusto e insieme da acuto senso pratico. E parliamo più particolarmente della parte del grandioso edificio adibita a Cinematografo.

Si accede al Cinema Teatro Odeon all’imbocco di Via Santa Radegonda, da Piazza del Duomo, attraverso un porticato che è l’ingresso, imponente per dimensioni e per eleganza di decorazione: è il vestibolo appunto di quelle sale nelle quali troveremo profusi marmi tra i più fini e preziosi, legni di valore, e bronzi, e stucchi, e dorature, e lampadari artistici.

Una grande galleria a ferro di cavallo circonda la platea del cinematografo; e, mentre il primo braccio, adiacente al vestibolo, è adibito alla vendita dei biglietti, e all’ingresso per sette aristocratiche porte al salone degli spettacoli, l’altro forma un delizioso e comodissimo salone d’aspetto.

Ecco il salone degli spettacoli, composto della platea e di una grande e miracolosa balconata a sbalzo, capaci l’una e l’altra di oltre duemilaquattrocento comodissimi posti a sedere, senza contare quelli contenuti negli ampi palchetti posti in alto, sull’ultimo settore della balconata.

Un’idea della vastità del salone può esser data dalla sua superficie: 930 mq.; ma meglio dal raffronto col vaso del Teatro alla Scala, che esso supera di ben sette metri in larghezza, e di dieci metri in lunghezza.

Qui lo sfarzo, il lusso e l’arte decorativa raggiungono la massima espressione: pareti rivestite di marmi pregiatissimi e lucenti, palchi di radica di noce, soffici tappeti di enormi dimensioni, bronzi d’arte, comodissime poltrone di velluto rosso, lampadari di gran pregio artistico, una cupola che accarezza l’occhio e parla alla fantasia col succedersi dolcemente dei più delicati effetti luminosi.

Grandiosa la balconata, con uno sbalzo di ben 16 metri, e larga 29; ma grandioso anche il boccascena, che misura metri dieci per dieci, e che ha la particolarità di essere incorniciato da un grigliato di legno dorato largo tre metri, composto da quattro cornici distanziare in profondità , in modo che nei vani tra cornice e cornice si son potuti istallare gli altoparlanti per il film sonoro, e un insieme di 2600 lampadine variamente colorate, con le quali è possibile ottenere tonalità, intensità e variazioni di luce che conducono a effetti singolari e suggestivi.

E non parliamo qui di tutti quegli impianti e apprestamenti capaci di assicurare riscaldamento e raffreddamento e aerazione, alcuni dei quali di brevetti nuovissimi, e che tutt’insieme concorrono a fare di questo Cinematografo il tipo solo più ricco ed elegante, ma anche il più moderno per quanto riguarda appunto le esigenze del locale cinematografico.

Tutto ciò doveva parlare direttamente al cuore dei buoni Milanesi, i quali, se hanno visto scomparire una delle più vetuste glorie della loro città, hanno visto, in cambio, sorgere su quelle rovine una gloria di maggior valore artistico; e mon poteva non parlare al forestiero, che già di questo locale aveva avuto notizia come di cosa meravigliosa; ond’è che la inaugurazione di questo Cinema, che Milano ascrive a benemerenza dei fratelli Delle Piane, segnò un avvenimento cittadino, e la sua sala da spettacoli si è vista sempre affollata dal fior fiore della cittadinanza.

In buon punto, peraltro, è sopraggiunto il mutamento della gestione e della Direzione del Cinema. Alla primitiva Direzione non mancavano certo buona volontà, nobiltà d’intenti, e buon gusto; faceva difetto, però, quella conoscenza del mondo cinematografico e della psicologia delle folle, che è indispensabile per condurre un locale cinematografico di tanta importanza, in un centro come Milano, e al giorno d’oggi. Dalla metà di questo mese, alla primitiva gestione è succeduta la Società Anonima Emilio Perani, con alla testa un vecchio e consumato e occhiuto cinematografasti, appunto Emilio Perani, che del commercio cinematografico e della gestione di sale ha oramai un’annosa e fruttifera esperienza personale; tanto fruttifera, che gli spettacoli del Cinema Odeon se ne sono immediatamente avvantaggiati.

Con Emilio Perani alla testa, il Cinema Odeon conquista oggi quel primato al quale ha realmente pieno diritto, e che rischiava di non raggiungere giammai.