Il quarantennio del cinematografo festeggiato a Roma

40° anniversario della cinematografia, Roma 1935
40° anniversario della cinematografia, Roma 1935 (Archivio In Penombra)

Roma, 1935

Parrebbe incredibile, se non fosse luminosamente vero: questa complicata espressione sintetica che tiene un po’ di tutte le arti, questo formidabile strumento educativo, sociale e politico ch’è il cinematografo, non ha che quarant’anni. Infatti, lasciando a parte i primi tentativi (esperienze di Hervé Faye, E. J. Muybridge, Janssen, Marey) gli si assegna come data di nascita il 22 marzo 1895, quando cioè i fratelli Lumière proiettarono, di fronte ai soci della Società francese per il progresso dell’industria il celebre film L’uscita degli operai dalle Officine Lumière.

Per la celebrazione di questo quarantennio, sono state organizzate in Italia, a cura delle Sezioni cinematografiche del G.U.F., diverse manifestazioni, da cui si rileva, oltre alla viva parte che il nostro Paese prende all’esaltazione di ogni progresso artistico e civile, lo spirito di sincera amicizia italo-francese. Ad esse presenzia Luigi Lumière, il geniale inventore che il Governo italiano considera suo ospite d’onore per parecchi giorni.

Chi può dire quale impressione avrà suscitato nell’illustre inventore francese il ricordo di quei lontani albori, durante la grande serata celebrativa al Supercinema di Roma? Essa infatti è stata una delle più significative ed attraenti manifestazioni per il quarantennio cinematografico: celebratasi la sera del 22 marzo, essa ha lasciato in tutti gli spettatori una sensazione indimenticabile. Centro dell’attenzione entusiastica di un pubblico d’eccezione, per numero e qualità, fu Luigi Lumière, il quale apparve nella grandiosa sala romana, accompagnato da S.E. il conte Galeazzo Ciano: egli fu fatto segno di una calorosa dimostrazione da parte di tutti gli spettatori, mentre la banda dei Carabinieri intonava la Marsigliese, la Marcia Reale e Giovinezza; l’illustre ospite prese posto, avendo il conte Ciano e l’Ambasciatore di Francia conte de Chambrun da una parte e il dott. Luciano De Feo e Luigi Freddi dall’altra. Numerosissime le personalità intervenute; oltre le suddette si notavano: Ministri, Sottosegretari di Stato, gerarchie del Partito, senatori, deputati, accademici, direttori italiani e stranieri di case cinematografiche, produttori di films ed autori. Tra questi il soggettista di Poil de carotte, il film francese attualissimo, che ha fatto parte dello spettacolo. Erano anche presenti una rappresentanza del’Accademia francese e un gruppo di studenti della Sorbona, venuti a Roma per la circostanza.

Lo spettacolo ebbe inizio con la presentazione della Rivista Luce N. 4: ecco apparire sullo schermo i primi films Lumière: sono gli stessi presentati, esattamente in questo giorno, or fanno quarant’anni: L’arrivo del treno alla stazione di Lione, La colazione di bebè, L’uscita dalle officine Lumière, L’annaffiatore  annaffiato; brevi pellicole d’un minuto di durata, in cui non era questione di recitazione né di inquadrature, ma nelle quali era il germe di quelle che dovevano poi essere le gloriose virtù del cinematografo. Ecco, subito dopo, la proiezione del primo film italiano: La breccia di Porta Pia, realizzato da Alberini nel 1905. Quindi con un balzo in avanti di sei anni si arriva ai films che svolgono un soggetto quasi sempre di carattere passionale o comico. Per rendere più vivo l’ingenuo sapore di queste pellicole, Corrado d’Errico, il realizzatore della Rivista, ha inquadrato alcuni brani di films di quell’anno in una spassosa ricostruzione dello svolgersi di uno spettacolo cinematografico d’allora, durante il quale il pubblico ride ed applaude, quanto più il dramma è truce, quanto più gli attori si agitano per cercar il maggior effetto presso lo spettatore. E con il… pubblico d’allora, il pubblico della grande serata di gala ha applaudito e s’è divertito.

Fece seguito un film d’arte, Poil de carotte, un nuovissimo lavoro francese realizzato da Julien Duvivier, e presentato nell’edizione originale.

La terza parte dello spettacolo ebbe, si può dire, un carattere dimostrativo: costituita da raffronti tra brani di pellicole italiane dei primi tempi della nostra cinematografia e brani di pellicole straniere, essa dimostrò l’apporto della cinematografia italiana a quella mondiale. Ecco infatti una scena di Cabiria, possente e immaginosa, che rivela come gran parte dei mezzi e delle risorse che oggi il cinema possiede e largamente sfrutta (quali la panoramica e il carrello) derivano da questo film italiano. Ecco una scena di Messalina, dove la corsa delle quadrighe ha ispirato una scena simile in un film famoso della produzione americana: Ben-Hur. Ed ecco un dettaglio di Marcantonio e Cleopatra, confrontato con altri simili del recente film di Cecil B. DeMille.

Dopo le cinematografie storiche, lo schermo proietta i primi saggi, pure italiani, dei films gialli, di quelli sociali e veristi e di quelli che potrebbero definirsi commedie-operette. Generi, tutti, nati in Italia per essere poi ripresi e sviluppati all’estero. Ed ecco infatti:
I topi grigi di Ghione, Teresa Raquin, con Giacinta Pezzana, Sperduti nel buio con Maria Carmi e Giovanni Grasso, Girotondo di undici lancieri, che si alternano a qualche scena di famosi films stranieri, quali: Le vie della città, Piccolo Caffè, Metropolis, Il ladro di Bagdad, ecc.

Ma la grande sorpresa la riservano le ultime proiezioni dello spettacolo: appaiono i giornali filmati, procedendo sempre per raffronti tra il vecchio e il nuovo. Un episodio della guerra libica è messo a confronto con quello, recentissimo, che riproduce la partenza di Messina dei nostri soldati per l’Africa Orientale.

E per ultimo, eccoci in piena cinematografia 1935, “ultimissima ora”: una didascalia annunzia la proiezione di un recentissimo avvenimento: la colazione offerta il giorno precedente a Luigi Lumière. Dinanzi all’ammirativo stupore degli spettatori, appare sullo schermo Lumière tra le personalità intervenute per festeggiarlo: si assiste all’arrivo degli invitati, e infine l’inventore del cinematografo è ritratto davanti al microfono.

Ma non bastava ancora: un tale prodigio di rapidità doveva essere ancora superato, il pubblico doveva rimanere addirittura sbalordito, vedendo svolgersi sullo schermo quanto era avvenuto circa due ore prima, e cioè l’ingresso della folla al Supercinema, l’aspetto della sala, le fisionomie di alcuni spettatori, che diventavano, in tal modo, protagonisti del film. Due ore erano bastate perché gli abilissimi tecnici della L.U.C.E. avessero ripreso la scena e approntata per la proiezione. Naturalmente il pubblico di fronte ad una così miracolosa sorpresa è scattato in applausi entusiastici.

La serata si concluse quanto mai lietamente con un squisito cartone animato di Walt Disney, che il geniale inventore stesso aveva, con gentile pensiero, fatto giungere per via aerea, affinché partecipasse alla celebrazione.

Sempre Cabiria

Lettera di Giovanni Pastrone alla Taurinia Films, 24 dicembre 1936

Spett. Museo Nazionale del Cinema – Fondazione Maria Adriana Prolo
Via Montebello, 20
10124 Torino
Italia

Vi sarò grato se mi vorrete dare notizie circa la versione in dvd e blu-ray del mio film Cabiria, come avevate promesso in diverse occasioni dal lontano 2006 (vedi per esempio La Stampa 24/04/2014): Cabiria avrà una nuova prima per i suoi cento anni).

Vi ringrazio e distintamente Vi saluto.

Giovanni Pastrone

N.B. Oggi è il mio 134° compleanno e sarebbe un bel regalo per tutti quelli che lo stanno aspettando.

Alberto Collo

Torino 1950.

In una via stretta nei pressi del Valentino abita Alberto Collo: per le signore che oggi confessano cinquant’anni sarà magari un patetico ricordo di prima giovinezza. Negli anni belli del cinema italiano, durante la grande guerra, quella del Grappa e di Caporetto, e poi nel dopoguerra fino al ’25, Alberto Collo dominava sullo schermo e nelle cartoline illustrate, i giovanotti dovevano somigliarli per avere successo; era Armando Duval inginocchiato ai piedi di Hesperia nella Signora dalle camelie; era il compagno della Bertini nell’inizio dell’epopea di Zà la Mort: Nelly la Gigolette; era Oberdan; era il “bello” quando le belle erano Italia Almirante e Lyda Borelli. Un po’ meno conosciuto di loro, se vogliamo; non molti lo ricordano oggi, ma è questione anche del tempo trascorso. Qualcuno però lo ravvisa, quando cammina sotto i portici di via Roma a Torino, e al caffè degli artisti in via Po, produttori e attori gli danno del tu. Abita con la moglie in una stanza povera a tetto basso, con tramezze d’assi e di tele, in un casamento diroccato: non hanno trovato altro alloggio, dopo lo sfollamento. Lavorano tutt’e due per il cinema, ogni tanto, e in parti secondarie, s’intende: Alberto Collo ha sessantasette anni. Gli sarà forse affidato un personaggio di cartello in un film in progetto, il suo nome può ancora  avere del valore. Ma i proventi che gli consentono di vivere, Collo li trae dal commercio. Ha un’aria dimessa di uomo tranquillo, ma ad ascoltarlo si capisce subito che ha opinioni precise, idee chiare. Nel volto s’indovina il bell’uomo di una volta; più difficile sarebbe scovare nella pieghe del carattere il divo celebre e un po’ fatale di trent’anni fa. Rovescia i cassetti, pacchi di fotografie senza data, vecchie e un po’ stinte, si spargono sul tavolino. « Son cose che non mi fanno più  né caldo né freddo », dice scartabellando quei ricordi; ma intanto, lo sguardo intento, fruga nella memoria; e un sorrisetto della moglie smentisce le sue parole.

Alberto Collo
Alberto Collo 1912 c.

Alberto Collo venne al cinema dal teatro, ed a questo da una filodrammatica parrocchiale. Nato nel 1883 a Piobesi Torinese, piccolo paese ad una ventina di chilometri dalla metropoli subalpina, Collo si trasferì con i suoi a Torino. All’età di 7 anni, mise in mostra subito le sue doti d’attore. A 15 anni già primeggiava nella filodrammatica della parrocchia di Santa Giulia. Lasciati e metà gli studi di ragioneria, passò con Baldassarre Molina al Teatro Scribe. Diciottenne divenne il primo attore della compagnia: nel teatro si rivelava la sua strada.

Nel 1908 lo ritroviamo al Teatro Rossini nella compagnia Bonelli e Testa. Alberto, che sogna la gloria delle grandi parti, mentre e a tempo perso scolpisce nel legno, si lascia tentare dal cinematografo, incerto dapprima e poi deciso, in pianta stabile. Quando si presentò per girare la prima pellicola ebbe un’amara sorpresa: doveva indossare abiti femminili, e non ci fu verso; poiché le donne allora non consentivano a farsi mettere alla berlina nelle pellicole, troppi rischi per la salute e soprattuto per la reputazione; tuonavano tutti contro il cinema! « il nuovo trionfo della volgarità, la crescente tirannia del cattivo gusto ». I film: « romanzi per analfabeti »; « le grandi afflizioni di questa prima parte del secolo sono il cinematografo, il grammofono e il Grand Guignol ». Dunque, prima donna col seno di stoppa. In quei film, ricorda l’attore: « l’eterno contrasto di suocera e nuora veniva ripetuto fino alla nausea e terminava con una colluttazione generale: ma quelle scene, che maestria! Gruppi di otto, dieci persone, ognuna con una espressione stravolta ma tutta sua ». Alberto Collo impersonava la nuora belloccia e pettegola; a lui toccavano gli schiaffi, veniva sepolto sotto montagne di mobili “veri”, finiva buttato nell’acqua diaccia. Si girava soltanto col sole, tre film di duecento metri al mese; gli interni si giravano all’aperto, fra tre pareti di carta, Collo non ne poteva più, per riposarsi contava sui giorni di pioggia, e nei momenti persi assisteva con invidia alle riprese della troupe “drammatica”.

I pantaloni di Cretinetti Itala Film 1909
I pantaloni di Cretinetti (Itala Film 1909), Alberto Collo, cuffia in testa, travestito da cameriera.

Nel 1911 Collo passa alla Savoia Film del pittore Pier Antonio Gariazzo, smise gli abiti femminili e indossò quelli del fellone: un alone di nerofumo nelle occhiaie, un corto mantello e la barba. Per alcuni mesi fu ladro, spergiuro, bancarottiere, bullo e cornuto. Le piogge torinesi impedivano le riprese, Gariazzo trasporta a Roma la sua Savoia Film, e con lui Alberto Collo, sguardo fascinoso, bel profilo.

Nella capitale, dove si fermerà fino al 1920, ad eccezione di un breve periodo trascorso in grigioverde e durante il quale girò con Carmine Gallone un film di ambiente militare, egli ottiene il suo più grande trionfo. È qui infatti che si incontra con i grandi nomi del cinema muto: Emilio Ghione, altro illustre torinese, Francesca Bertini, Lina Cavalieri, Hesperia, Maria e Diomira Jacobini e tanti altri. Il conte Baldassarre Negroni lo assume come primo attore giovane della Celio Film.

L'amazzone mascherata, Celio Film 1914
Alberto Collo e Francesca Bertini, L’amazzone mascherata (Celio Film 1914)

Incomincia il divismo: Barattolo fonda la Caesar, si accaparra Ghione, poi la Bertini e Collo. Scoppia la prima guerra mondiale. Si comincia a portare il bavero rialzato. I film italiani si vendono a scatola chiusa. La guerra finisce. È il momento dell’intenso vivere! Emilio Ghione fa un bluff di 70.000 lire al poker, le perde e se ne va accendendo una sigaretta. Collo, smessi i drammi sentimentali, deposto il cilindro a otto riflessi, gira le pochades in costume da bagno con Diomira Jacobini. Guadagna 5000 lire al mese e riceve ogni giorno circa duecento lettere di ragazze. Ma è uno splendore effimero, apparente. Il cinema italiano invecchia, si avvia alla morte. Barattolo riunisce tutte le più importanti Case italiane in un trust, l’Unione Cinematografica Italiana. Scomparsa la concorrenza scade la qualità. Si fanno iniezioni di capitali: Ghione riceve un anticipo di centomila lire e le investe in libri e mobili antichi.

Il Fonraretto di Venezia Alba Film 1924
Alberto Collo, Il Fornaretto di Venezia (Alba Film 1923)

L’ultimo splendore di Collo, Il Fornaretto di Venezia, un successone, ma rischia di lasciarci la pelle nella scena dell’impiccagione. Lo salva l’operatore che lo vede illividirsi nel mirino della macchina da presa. I grandi divi italiani spariscono nell’ombra, è iniziata la decadenza, il cinema straniero sta conquistando le migliori posizioni. Alberto Collo si riavvicina al teatro, ma non come primo attore, bensì in piccole parti. Nel 1928, al Rossini, il grande teatro di via Po a Torino, distrutto da un bombardamento aereo nel 1942, lavora a fianco di un giovane comico allora al suo esordio: Macario.

Quando il sonoro rivoluziona il cinema, Alberto Collo scompare. Alcuni anni dopo, con scarsa fortuna, rappresenta una ditta di medicinali, ed interpreta, di quando in quando, parti secondarie in pellicole mediocri. Dei suoi 120 film più nessuno è rimasto in circolazione.

Nel 1939, Alberto Collo si sposa con una ex attrice del cinema muto francese conosciuta nel 1934. Nel 1939, per l’ultima volta nella sua lunga carriera, l’artista ha la gioia di vedere il suo nome stampato sui manifesti per una parte di piccolo rilievo nel film I naufraghi.

Nel 1953, compiuti i 70, è chiamato per una parte di generico in Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno. Poi i primi sintomi del male, il ricovero all’ospedale. la prima operazione, avvenuta in maggio del 1954, che la sua fibra ancora forte gli permette di superare brillantemente…

Torino, 15 febbraio 1955.

Ma il male era solo allontanato. In questi ultimi mesi avrebbe dovuto tornare in clinica, ma i suoi mezzi finanziari non glielo consentivano. Nasce allora per l’interessamento di alcuni amici, la campagna a suo favore che ha raggiunto in questi giorni il suo acme con le sottoscrizioni dei giornali, trasmissioni dedicategli dalla radio, e l’intervento del Presidente Einaudi che lo fa ricoverare a sue spese nella clinica dell’Istituto San Giovanni.

Ieri, assistito nella sua cameretta dalla moglie, piccolo e minuto sotto un ciuffo di capelli bianchi ritti sul capo, lo abbiamo visto seduto al tavolino, intento a leggere lettere di sue vecchie ammiratrici giunte a decine in questi giorni. Esse hanno voluto riaffermargli il loro affetto, rievocando tempi e glorie passate. Nel leggere le loro frasi di ammirazione, gli occhi del vecchio divo diventavano lucidi.  

Torino, 7 maggio 1955.

Alberto Collo il popolare attore del cinema muto è morto stamane alle 6.30 presso il centro tumori dell’Ospedale San Giovanni dove era stato ricoverato ai primi dello scorso febbraio. Alberto Collo si è spento alla soglia dei 72 anni — li avrebbe compiuto nel prossimo luglio — ed ha lasciato dietro di sé un lungo rimpianto in quanti ebbero occasione di ammirarlo nelle sue indimenticabili interpretazioni durante il periodo d’oro della giovane cinematografia italiana o di conoscerlo nella sua vita privata e di apprezzare così il carattere buono e generoso. Il vecchio attore negli ultimi giorni è stato assistito dalla moglie Rosa, dal fratello Mimmo e da altri parenti e amici, primo fra tutti il maestro Rolando che si è prodigato per confortarlo negli ultimi mesi di vita. Fu appunto il maestro Rolando che circa tre mesi or sono, conoscendo la difficile situazione economica del vecchio attore e le sue gravi condizioni di salute, provocò l’interessamento di Lello Bersani della Rai che in una trasmissione della rubrica Ciak sollevò il « caso Collo » sollecitando aiuti da parte di attori, registi e produttori.