
Torino 10 Giugno 1923
Specifichiamo subito: il preconcetto è la fobia contro il film straniero. Un malinteso senso di opportunismo nazionalistico, ad una gran parte di coloro che, in buona fede, desidererebbero di portare la loro piccola pietruzza alla ricostruzione cinematografica italiana, suggerisce di gridare al boicottaggio contro le pellicole estere, invocando per esse il più rigido ostracismo.
La questione fu da noi già trattata e risolta; ma, poichè l’equivoco persiste, non possiamo esimerci dal tornare sull’argomento, sia per lumeggiare efficacemente la situazione industriale e commerciale nei confronti con l’estero, sia per chiarire di fronte a tutti il nostro pensiero, che s’ispira alla visione esatta del problema, considerato da un lato positivo. Premettiamo che dobbiamo, prima di iniziare la discussione, corazzarci contro a certi attacchi di quanti, dotati di scarso spirito di discernimento, potrebbero equivocare sul nostro pensiero e tacciarlo di poco omaggio verso l’industria nazionale.
Ma tutta la nostra opera triennale, ininterrottamente ispirata ad un sano criterio di valutazione delle cose, ci garantisce contro ogni accusa e ci premunisce contro tutte le insinuazioni, per dimostrare luminosamente che noi cercammo sempre, e soltanto, di cooperare al bene della patria industria cinematografica. Serivono dunque gli oppositori ad ogni costo, che il mezzo efficace per la risoluzione della crisi cinematografica italiana consiste nel bandire dalle sale di proiezione i films stranieri; per cui da parte di tutti coloro che alla questione guardano superficialmente, che d’una loro personalissima opinione, non suffragata da verun fatto, fanno un assioma, muove un coro quasi unanime: « Escludiamo la produzione estera! Si disertino i locali, ove si rappresentano i lavori stranieri! ». Essi, ergendosi fieramente nel loro atteggiamento d’irriducibili negatori, sono convinti di rendere un grande servizio all’industria nazionale e di infliggere una meritata lezione a quanti si rendono responsabili di leso patriottismo. Premettiamo che non abbiamo mai compreso in quale modo il boicottaggio alla produzione straniera possa contribuire al risanamento dell’industria italiana. Se il pubblico frequenta le sale ove si rappresentano lavori esteri, gl’introiti sono ricevuti dalle cassette italiane, e, anzi, di questi introiti una buona parte passa direttamente nelle casse dello Stato. Piuttosto resta ad esaminare a quale condizione tali films ci sono provenuti dall’estero, ed è questo punto che considereremo noi.
Ma, tornando alla questione del film straniero in se stesso, vediamo quali fatti essenziali non bisogna dimenticare. Allineare un certo numero di parole in un articolo, o pronunciare frasi roventi in un discorso, siano pure articolo e discorso ispirati dalla nobile intenzione di contribuire ad un beneficio per l’organismo nazionale, è presto fatto, e come espressione d’un intento può essere lasciato indisturbato; ma quando dal verbalismo si deve passare alla concretezza dei fatti, quando alla critica avventata deve subentrare l’esame serio ed obiettivo, allora si riscontra che assai diversamente consiglia l’esperienza e che la realtà è ben altra cosa dalle ideologie. Si è più volte constatato e dimostrato che la sola vendita in Italia non basta a coprire le spese di fabbricazione: se anche si riuscisse a collocare un film in tutti i locali della penisola, non sarebbe ancora sufficiente per realizzare il necessario guadagno in confronto alle spese di produzione e di proiezione. Di qui, la necessità di aprire ai nostri lavori degli sbocchi sui mercati stranieri, procurando di avere fuori dei nostri confini, quell’aumento di collocazione, che può rappresentare un vantaggio morale e finanziario, se non sempre immediato, almeno di efficace riflesso. Ora, è possibile supporre di tentare per conto nostro la penetrazione dei mercati stranieri, chiudendo all’estero le porte di casa nostra? L’ipotesi è puerile ed assurda: l’espansione non è un fatto unilaterale; ma si basa sopra un movimento di libero scambio. Il commercio ha sempre avuto, come elemento essenziale, la formula: do ut des; per cui è perfettamente inutile inibire l’accesso agli altri, se vogliamo, attraverso a quelle stesse frontiere, aprirei noi il varco. Ci si obietterà che in questo caso l’accoglienza dei films stranieri viene a neutralizzare l’introduzione della nostra merce all’estero; ma resta sempre a vedere in quale misura la produzione nazionale si sarebbe collocata in Italia, ed in quale misura può venire smaltita all’estero. Ma a queste, che sono ragioni puramente finanziarie e che possono essere risolte a nostro favore semplicemente dall’abilità e dall’oculatezza dei commercianti preposti alla delicata funzione di presiedere agli scambi internazionali, sovrastano altre d’ordine superiore e più generale: quello artistico e morale. Che cosa vorrebbero i banditori dei lavori stranieri? Chiudersi entro una Muraglia Cinese? Ciò sarebbe veramente deplorevole per l’arte italiana che, forte del suo valore ed orgogliosa della sua potenza universale, deve sentire il bisogno di superare i confini, di andar più oltre e d’imporsi all’ammirazione del mondo. Per conseguire tale fine è necessario aprirci quante più vie è possibile, procacciarci quanti più mezzi si può per far emergere il valore della nostra produzione; può darsi che ciò imponga dei sacrifici; ma a questi è doveroso sottostare in vista della nobiltà e dell’utilità del fine che, in un avvenire non lontano, sarà certamente realizzato. Il trionfo di domani dev’essere un incitamento ad affrontare ed a sostenere gli eventuali sacrifici presenti. I quali sono poi assai ipotetici; mentre sarebbe certo il fallimento, qualora si adottasse la politica delle barriere impenetrabili, proposta da alcuni irresponsabili, i quali vorrebbero, trattandosi di un organismo malato, per curarlo, lasciarlo morire. Credano pure tutti i Crociati contro la produzione estera, — ai quali noi riconosciamo la bontà delle intenzioni — la politica negativa non ha mai risolto nulla, perché non ha nessuna capacità pratica, ed il grido di guerra contro lo straniero, in questo caso, si risolve in un vano clangore di trombe, più o meno squillanti, il quale può avere, al massimo, il potere d’irritare coloro cui è diretto, senza affatto deprimerli, e senza recare il minimo contributo alla causa che si sostiene. Anche nel secolo d’oro vi fu un Pontefice che si esaltava al grido di: « Fuori i barbari! », ma la sua politica stessa, era poi una condanna del motto di battaglia. Ai tempi nostri poi, lo scambio universale è l’unica forza incontrastabile, e la più efficace valvola di sicurezza del commercio e dell’industria nazionale.
Inoltre, limitandoci al campo artistico, non dobbiamo disconoscere che ogni Nazione possa avere alcunché da imparare dalle altre, e questo è un fatto che non è affatto debolezza ammettere. L’arte è un continuo divenire, e come tale si vale del concorso di tutti. Di conseguenza, per quanto in fatto d’arte il nostro Paese possa veramente vantarsi della sua situazione privilegiata, non è affatto degno di noi, contestare (come fanno alcuni cinematografici commentatori) alla produzione estera qualsiasi elemento artistico.È un metodo troppo infantile, che fa torto a chi se ne serve, quello di denigrare sempre e di proposito la produzione altrui per magnificare la propria. L’affermare, ad esempio, che l’America non riesce a darci altro che un iperbolico genere avventuroso e che la Germania non possiede lavori artistici, è un voler dimostrare che non si sa guarire della malattia di generalizzare. Poichè, se così non fosse, si dovrebbe riconoscere che, se per l’America si possono deplorare eccessi e per la Germania lamentare difetti, tanto l’una quanto l’altra, possiede però dei capolavori e degli artisti, che sono onore e vanto della cinematografia mondiale. E ciò ci sentiamo di poter doverosamente affermare noi, che fummo i primi ad insorgere, da queste colonne, contro coloro che, in altri momenti, per puro opportunismo, provarono dei veri capogiri per la produzione americana o germanica, al punto da vituperare inconsideratamente quella nazionale.
Quindi, concludendo, diciamo che sono perfettamente sterili: e le rodomontate di chi vuol mettere sempre tutto a ferro e fuoco, e le critiche aspre di giudici inaciditi, pronunciate, le une e le altre, per chiedere l’esclusione dei films stranieri, fatto impossibile per ragioni materiali ed ideali. Ciò ch’è necessario è il miglioramento della produzione, e la valorizzazione piena e completa di essa all’estero, mediante saggi contratti, mediante la tutela assoluta di tutto quanto è nostro e mediante un’opera di ottima e solida divulgazione dell’arte cinematografica italiana fra i paesi di tutta la terra.
Questi sono i fatti indispensabili al risanamento; tutto il resto è vaniloquio, è retorica fuor di luogo!
La Rivista Cinematografica.

