La fine del film comico?

Torino, maggio 1923

Ne abbiamo pochine in Italia: Il nostro paese che — agli inizi — è stato il primo in tutte le varietà della produzione cinematografica, sembra che, ora più che mai, si lasci andare al suo temperamento drammatico.

Da noi ora si va al cinematografo sempre un po’ colla paura di uscirne male. Per quel che si vede: artisti drammatici, veri manichini che lasciano freddi quando l’autore, con qualche spunto macabro, non si incarica di dare il raccapriccio, oppure… Oppure niente.

La cinematografia nazionale d’oggigiorno è tutta lì.

Ma prima non era così. Prima l’artista obbediva al lavoro, a qualsiasi lavoro. Ora il lavoro si fà per i begli occhi dell’artista: che, per essere veramente belli, vanno, si sa, o lampeggianti di passione o madidi di pianto. E vien proprio voglia di gridare: un po’ di serietà; via, fra tanta tristezza e tristizia!…

La vita, anzitutto, non è e non deve essere tutta eccezione, tutta passione. E il cinematografo deve — più che altro, ed è forse il suo unico scopo — rappresentarci la vita in quei particolari aspetti esteriori cui l’arte, unilaterale, non giunge. Si vuol fare invece dell’arte pura e si fanno delle pure assurdità, corruttrici del gusto del pubblico, quando non sono addirittura stomachevoli. Che sarebbe il meglio, perché il pubblico farebbe presto giustizia.

Ma giustizia la fa, sin d’ora, disertando la produzione nazionale e preferendo il film — che so io — tedesco o americano. Lasciamo stare il film tedesco, film puramente decorativo e artificioso. Vediamo il film americano. È molto lontano dal nostro gusto, ma, nonostante, riesce a insinuarvisi. Ora vi si è già installato.

E si capisce. Non parliamo dei film acrobatici di avventure, terribili e bonarie, che, in ogni caso, spianteranno il latino film poliziesco e brutale. Parliamo del film americano caratteristico; caratteristico perché a somiglianza della mentalità anglosassone, concepisce la vita solo attraverso l’humour: umoristicamente, cioè come va concepita. Queste films ruberanno tutto il pubblico alle nostre. E la colpa sarà tutta nostra.

Perché di film piacevoli l’Italia né produsse molte. Il burlesco è anche nel nostro carattere, il comico è pure nel nostro istinto. Ma non vogliamo consigliare il facile riso che destano le maschere e i pagliacci. È la vita che di per se stessa è — se non lieta. — certo comica e sentimentale in un punto.

Comico-sentimentale. Con. questa denominazione impropria ma efficace, corsero l’Italia parecchie bei film, un tempo. Ed avevano in sè tutti gli elementi dell’umorismo. Questo è latente nell’anima di tutti. E divertivano il pubblico. La prima Casa torinese di film ne editò parecchi e non erano inferiori a quelli americani che vennero di poi.

Anche la Francia ebbe una produzione semi-umoristica col concorso di buoni comici provenienti dal teatro e ritornati poi a questo. Le ultime pochades che sotto il nome di una vecchia Ditta francese si proiettarono, riuscirono di esecuzione pietosamente commerciale. Altre, che si fecero in Italia, le superavano di gran lunga.

Infine, gli ultimi generi non precisamente atroci di film italiana, furono quelli tracciati da un noto scrittore romano. E piacquero perchè erano scaltramente confezionati: con quel tanto di decorativo, di comico e di passionale, in dose giusta, che occorre a tutti i pubblici. Ma trovata la ricetta, i lavori si susseguirono stereotipati. Al primo il pubblico si divertì, al secondo tollerò, al terzo sbadigliò. Ed anche questi film sono destinati a scomparire se mon si muta la ricetta.

Gironzola ancora qua e là qualche: film pagliaccesco e acrobatico. Non basta per far ridere; basta per far ridere della cinematografia italiana, che si ripete ora, uniformemente unilaterale, stupidamente tragica.

Si dirà che è il pubblico a preferire la passionalità cieca e irruente al sottile umorismo. Ma l’umorismo — l’abbiam detto — è latente; così che non abbiamo che a esibirlo per farlo ricordare e amare.

Artisti, non ne parliamo, se ne troverebbero a iosa e uno o due di quelli che già recitano dimostrano per l’humour una disposizione speciale.

Dunque: una difesa e una riconquista commerciale da compiere. Un equilibrio e un risanamento nel gusto del pubblico. Il pianto non può far del bene che come sfogo personale. Ma il pianto commerciale, il pianto per commissione, non può far che del male. Piangere non serve a nessuno. Il ridere ci rende migliori.

E se il film di buonumore o, meglio, il film umoristico, ricomparirà nella cinematografia italiana, sia pure imperfetto e grossolano da principio, noi saremo i primi a congratularcene.

Fantomas

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