Albani Film GmbH Berlin

Torino, 10 Luglio 1924

Il fatto è questo. Una giovane Casa italiana, l’Albani Film, alla quale recentemente si è associato un valoroso commerciante cinematografico americano, il sig Ziehem, sta lavorando in Germania, ove, con la serietà dei suoi propositi ed il valore della produzione è riuscita a conquistarsi un notevole posto nella stima del pubblico tedesco. Ora avviene che questa Casa, facendo onore al suo coraggioso programma, non teme d’affrontare i rischi, d’una lavorazione in grande stile e scrittura per un importante film un notissimo attore francese, il Signoret, il quale di buon grado, accetta, non solo; ma fissa l’epoca in cui dovrà essere in Germania ad assumere il suo posto presso la Casa italiana. Ma l’epoca stabilita giunge, viceversa chi non giunge è il grande attore francese, riguardo il quale, dopo alcuni giorni, perviene alla Direzione un telegramma in cui è annunciato tout court che il Signoret non si sarebbe più recato in Germania.

Naturalmente la Casa è sorpresa; chiede, indaga ed ecco la spiegazione: la stampa francese aveva posto il suo veto all’andata in Germania da parte dell’attore connazionale. E non fu possibile derogare dall’imperativo della stampa, la quale si mostrò irriducibile: o l’attore rinunciava al suo impegno, o avrebbe dovuto subire il boicottaggio dei giornali del proprio Paese. Non vi fu via di mezzo: l’attore si vide costretto ad abbandonare il contratto, essendogli venuti meno anche gli appoggi dello stesso Ministro delle Belle Arti, di cui espressamente era stato richiesto l’intervento per la difesa dei diritti dell’arte e dell’industria, con tanta disinvoltura lesi.

Quindi la Casa italiana dovette rassegnarsi a che fossero di colpo irrimediabilmente sventati i suoi progetti, con tanta pazienza elaborati e che anche a costo di grandi sacrifizi sarebbero stati attuati.

Ora, a che miriamo noi denunciando questo particolare fatto? Non intendiamo certamente impegnarci in una polemica con i Colleghi francesi ma da esso desideriamo trarre argomento, per un criterio più comprensivo e razionale, generalizzando lo spirito che ha informato la reazione dei giornalisti d’Oltr’Alpe. Confessiamo senz’ambagi che l’atteggiamento suddetto della stampa ci ha dolorosamente colpiti, e, per sgombrare subito il terreno da qualche arbitraria interpretazione, dichiariamo che nella nostra disapprovazione non ha nulla a che vedere il fatto che i colpiti siano personalità italiane. Avvezzi come siamo a considerare le cose da un punto di vista assai elevato, veramente au dessus de la melée e dal quale aprioristicamente esula qualsiasi interesse particolare, chiediamo se debba ritenersi tra i vari compiti nobili che la stampa deve assolvere, quello d’interporsi, per impedire ad un artista di esplicare la sua opera come, dove e quando meglio gli talenta. Ufficio principale della stampa è promuovere, non distogliere; favorire, non ostacolare; consigliare, se del caso, ma non mai sabotare. Essa ha bensì una funzione di guida e di controllo, per cui deve intervenire con qualche richiamo, ma non adottare metodi repressivi, diretti ad inibire libero spiegamento delle varie forze che concorrono al movimento del vasto ingranaggio industriale cinematografico. Tali metodi sono assolutamente incompatibili con la natura della stampa professionale la quale, come espressione d’un’arte giovane che sta ovunque vigorosamente affermandosi, e mostrandosi sempre più tendente ad elevarsi a una forma internazionale, deve dimostrare d’aver raggiunto una tale maturità, da ripudiare lo spirito reazionario, che spinge a conservare in un perenne anacronistico stato di ostilità le relazioni artistiche tra Paesi che, se hanno tendenze diverse, hanno però comune il punto di partenza, ossia il culto dell’Arte. Ancora tali atteggiamenti sono incompatibili con l’elevatezza del nostro compito, il quale deve riconoscere all’Arte, che devotamente propugna, tale supremazia da soverchiare le piccole competizioni di parte e quindi evitare di trasformare preconcetti derivati da una malintesa concezione nazionalistica, in altrettante armi per colpire l’arte e l’industria, di cui questa stampa è assertrice.

Purtroppo, invece, nel caso attuale, è doloroso constatare che tali preconcetti siano prevalsi sul criterio artistico, al punto da far dimenticare alla stampa francese, che con il provvedimento adottato, la vittima non era l’industria cinematografica tedesca, bensì una coraggiosa Casa editrice italiana, che trae i suoi mezzi di esistenza dal proprio lavoro meraviglioso ed instancabile. Se la Francia, socialmente e politicamente, non ha ancora risolto le sue ragioni di divergenza con la Germania, non è affatto la stampa cinematografica che deve scendere con le armi in pugno, per far le vendette del non ancora avvenuto accordo, coinvolgendo nella sua controffensiva proprio chi come i produttori filmistici italiani, non hanno in tali attriti, la benché minima parte.

Ma, prescindendo da questo antipatico fatto particolare, vediamo di assurgere ad una regola di connivenza civile, almeno nel campo artistico, scevra della mala bestia dall’intolleranza.

Questa di troppi guai è stata sempre ed ovunque madre, perché il suo spirito debba inquinare anche gli aurei sentieri sacri all’Arte.

A proposito poi della stampa francese in particolare, con piacere aggiungiamo che noi l’abbiamo sempre ammirata e con plauso seguita in parecchie sue ottime campagne, come quella per la censura, per la diminuzione delle tasse, per l’esercizio della pubblicità, in cui oltre la validità degli argomenti era mirabile il senso di concordia dei vari organi; perché ora essa vorrebbe derogare dalla sua linea seriamente teorica e dignitosa, per passare al campo materiale adottando atteggiamenti, come quelli della minaccia di boicottaggio, indegni d’un organismo fondato su tradizioni cavalleresche e dotato di squisito senso di opportunità?

Indubbiamente essa, come la stampa d’ogni paese ha diritto di critica e di richiamo; anzi, diciamo di più: essa ha avuto perfettamente ragione allorchè protestò contro l’alterazione della storia di Francia per opera di films tedeschi, e noi dal canto nostro, dimostrammo di concordare con essa in due nostri articoli recentemente pubblicati; ma non approviamo che un disappunto, o un consiglio faccia degenerare la protesta della stampa in un’azione a carattere demagogico, dannosa per tutti.

Non crediamo che tale nostro appunto possa essere male accolto dai Colleghi francesi, i quali siamo certi non fraintenderanno le nostre intenzioni, ma comprenderanno come noi abbiamo voluto da uno spunto di cronaca, assurgere ad un corollario generale. Esso suona così: la nostra stampa professionale ha l’alta missione della guida e del consiglio: la esplichi fortemente ma non degeneri e si consideri elemento d’avanguardia, non per la repressione, bensì per l’operosità; quindi sia vanto di tutti i giornalisti essere gli alfieri del bene, anzichè gli strumenti del male!

La Rivista Cinematografica.