
Dramma in 32 quadri, con scene importantissime ed emozionanti, svoltesi con pericolo immenso attraverso le contrade più terribili e affascinanti, nel tempo stesso del grande e maestoso Vesuvio.
Sotto la scorta di abili, vecchie guide, e con l’alta cooperazione del chiarissimo Direttore dell’Osservatorio Vesuviano, prof. Mercalli, e del valoroso ingegnere cav. Emilio Colonna, direttore della rinomatissima ferrovia e funicolare Vesuviana dell’Agenzia Internazionale di viaggi Cook.
Lo svolgimento dell’interessantissimo dramma che veramente appalesa la fantasia tradotta in atto, dà — per la prima volta — alla Cinematografia, la riproduzione viva e reale del Gran Mostro fumante, in tutti i suoi più minuti e meravigliosi dettagli, dalla sua base alla sommità (1170 metri sul livello del mare) ove il cratere vomitando fumo denso e minaccioso, vi riceve, in un accesso di sfrenata disperazione, la protagonista del dramma.
Il Vesuvio, superbo dominatore dei Vulcani, era avvolto nelle tenebre e pareva un gigante addormentato in attesa dell’alba che doveva coi suoi rosei bagliori mostrargli la sua figlia prediletta: Dora la Mulattiera. E ci venne Dora, la fanciulla bella! e fu quel giorno guida del Club degli escursionisti Napoletani, di cui un socio conte di Torralta, fu colui che la tolse al suo caro monte per avvincerla alla realtà delle sue brutture; e una notte, rigido ed imponente il Vesuvio fu testimone della seduzione del vile, che glie ne rapiva la figlia. Dora, potè nella bella Napoli in poco tempo, con l’anima dominata dal dolore, analizzare la sua vita spoglia di tutte le illusioni di una volta, ma ricca di amarezze e di disinganni e non ebbe la forza di ribellarsi a quella tortura che l’opprimeva, non si sentiva forte di sorgere contro l’uomo che amava e che ora la circondava col suo abbandono, Un giorno Guido di Torralta fu scosso dall’armonioso suono d’un’arpa che gli ricordò una sua vigliaccata antica; dal cancello della sua villa delle rose vide che colei che modulava la nenia conosciuta era Maria Veber che un tempo aveva abbandonata col cinismo sulle labbra, proprio quando la misera, scacciata dal padre, aveva bisogno della sua protezione, e tocco del pentimento e dall’antica passione corse a lei non per darle l’obolo della carità ma per riceverne il perdono dalla vittima. E Dora assistè, Dora soffrì delle sofferenze dell’altra; che dopo aver maledetto e respinto il seduttore, cadde singhiozzando sull’arpa al suolo, infranta; furono quelli attimi eterni che ebbero per Dora una immobilità infinita; rimirò la povera Maria, rimirò il vigliacco, poi fuggi, fuggi distruggendo nella corsa pazza le rose e i ramoscelli, i ramoscelli e le rose, dei cui petali un giorno egli glie ne aveva fatto ammanto; rifuggi dall’uomo vile che qual larva splendida aveva lampeggiato nella sua vita sfolgoreggiante come un iride, e che aveva fatto di lei il trastullo dei suoi sogni.
Un anno dopo Dora, la bella mulattiera d’una volta, chiedeva al vecchio padre suo la protezione pel figlio della sua colpa, lasciandoglielo avvolto in pochi cenci sulla soglia della casa paterna, e il Vesuvio, ricevè la sua Figlia nel suo pinnacolo nell’amplesso della morte ; mentre pareva che le gemme lucenti che scintillavano nella volta azzurra del cielo, fossero lagrime d’angeli figli anch’essi del dolore in quel solenne silenzio della notte.