È vero che per amore si commettono ogni sorta di pazzie! ma il caso che io sto per raccontare, per una sbalorditiva trovata — quintessenza di ciò che vi possa essere di più astruso — è nuovo.
Alonzo, bandito pericoloso, ricercato dalla polizia per ogni sorta di furfanterie, s’è rifugiato presso un circo, dove esercita una professione stranissima. Coadiuvato da Josè, piccolo gobbo, che ogni mattina gli fascia bene le braccia attorno al corpo, passa per un uomo privo degli arti superiori, deliziando così le folle con una serie di esercizi eseguiti coi… piedi.
Nessuno immagina che è falso monco, e da tutti è compassionato.
Un giorno — e questo capita anche ai banditi — Alonzo s’innamora della figlia del proprietario del Circo. Alla bella, gli sguardi pieni di cupidigia e le carezze lascive degli uomini, che vogliono cattivarsi la sua simpatia, fanno orrore. Anzi, la sensualità di un certo Malabar, lottatore, che ad ogni costo vuol farla sua, la rende paurosa ed ogni qual volta il lottatore cerca di sottometterla colle sue robuste braccia, impaurita, chiede difesa ad Alonzo, il quale (poverino!), suo malgrado, non può far nulla.
Una sera il bandito, liberatosi dalle bende, strangola, per vendicarsi di certi maltrattamenti, il proprietario del circo. La polizia sospetta di tutti, fuor che di lui, che, prese arie da protettore, vuol sposare la figlia della vittima.
Ma… c’è un ma! Sposandolo, lei s’accorgerà (di certo!) che possiede due braccia. Lo sospetterà assassino, ed allora addio amore.
Messo al bivio fra la donna e le braccia, opta per la prima; va da un chirurgo, col quale aveva conti in sospeso, e si fa mutilare!
Un mese di letto, poi tutto giulivo, coi suoi moncherini, va a cercare la sua futura sposa.
In questo periodo di tregua, però, lei ha cambiato opinione e convinta della forza erculea di Malabar, trova che non è poi cosa spiacevole essere… stretta da due braccia possenti, e cede alle richieste del lottatore.
Il povero Alonzo, non potendo più nemmeno strangolare il suo rivale, pensa di vendicarsi in un altro modo e durante uno spettacolo, con un trucco, tenta di ucciderlo, ma vittima del suo gioco rimane colpito lui stesso e muore.
Che inventiva! È, questo, Grand-Guignol da sbalordire Alfredo Sainati. Va bene che in tutto il canovaccio, Lon Chaney ha modo di dar saggio della sua potenza interpretativa e che più volte il grande attore fa dimenticare la balordaggine del lavoro presentato.
Ma fosse solo per più elementare senso di buon gusto, questa prova poteva essere risparmiata.
È giusto che in cinematografia si cerchi del nuovo ed io non sono certo il primo a sostenere questo. Che poi il nuovo lo si abbia a trovare lasciando in un canto ogni convenzionalità, sia pure per approfondire nel senso più veristico, è altra cosa.
Si è voluto ingentilire talvolta l’azione colorendo con toni e sfumature riuscite un episodio d’amore attorno al dramma e terminare il film con una scena patetica che voleva rappresentare il trionfo della vita dopo la morte di Alonzo.
Ma è umano che dopo aver esaltato il sacrificio mostruoso che il bandito s’impone, il lavoro abbia a terminare nel modo più roseo?
Perché si vuole un contrasto così violento? Si voleva provare che la giovinezza trionfa su tutto? E allora perché ci si insegna che il sacrificio redime e ci si presenta il caso più potente di volontà ferrea al servizio di una causa?
Io la penso così e volendo potrei trovare altre cose per dimostrare l’assurdità di ciò che si sostiene ma, come ho già detto, c’è un’attenuante poiché tutto è stato intessuto per dar modo a Lon Chaney, di dare l’ennesima prova della sua forza interpretativa, quindi ogni ulteriore discussione credo sia inutile.
Gli altri attori sono: Norman Kerry, quanto mai a posto nella parte a lui affidata, e Joan Crawford, graziosissima attrice, dotata di grazia finissima, che ormai è riuscita ad imporsi per l’efficacia e la misura colle quali sa plasmare i personaggi da lei creati.
La messa in scena (di Tod Browning) è accurata e di buon gusto.
Le innovazioni che si son volute portare alla fototecnica ed alla luministica non sempre hanno dato il risultato prefisso, ma nei primi piani le dissolvenze le trovai perfette.
Il nome di Lon Chaney attira le folle e la sala (Cinema Reale) era gremita, tanto alle rappresentazioni diurne che serali.
Ubaldo Magnaghi, Milano aprile 1928