Louis Delluc

Intégrale Louis Delluc, Les Documents Cinématographiques 2015
Intégrale Louis Delluc, Les Documents Cinématographiques 2015

Pour 1923, je souhaite au Cinéma américain de ne plus s’européaniser; au Cinéma allemand de faire une moins grande consommation de cercueils et de squelettes; au Cinéma suédois de rester suédois; au Cinéma  français de devenir tout à fait français, c’est-à-dire d’utiliser de préférence le concours des gens honnêtes, des esprits actifs et des intelligences. Amen.
Louis Delluc
(Ciné-Miroir, 1er Janvier 1923)

Uno dei primi registi europei a credere nell’esperienza del cinema come arte ed uniformare generosamente ad essa la sua attività di artista e la sua stessa esistenza di uomo, è senza dubbio Louis Delluc.

Nato nel 189o a Cadouin (Dordogne-Périgord), figlio unico di René Delluc e Jeanne Pradelle. Nel 1899 la famiglia si trasferisce a Bordeaux, e dal 1903 a Parigi in un piccolo appartamento al numero 5 della Rue de Beaune nel Faubourg Saint-Germain. Animato da una grande curiosità intellettuale fin da giovane, come racconta l’amico e biografo Léon Moussinac: « La sua naturale sensibilità si era ravvivata e arricchita non soltanto al contatto della natura — egli amava profondamente il natio Périgord e il paese basco, sua provincia di elezione; ma anche il contatto di tutte le manifestazioni dello spirito nel campo della creazione artistica. Fin dal liceo aveva scritto poemi, drammi, novelle, racconti. Frequentava con passione i concerti, i teatri, i musei. Era destinato all’insegnamento, e frequentò le Normali Superiori. Ma a diciott’anni decise di abbandonare gli studi per dedicarsi a scrivere ». In pochi anni il giovanissimo Delluc, aspirante autore drammatico e collaboratore a numerosi giornali e riviste, diventa intimo di alcuni fra i più celebri attori del tempo come Édouard de Max (testimone di questa amicizia il volume pubblicato nel 1918: Chez de Max. Souvenirs de théâtre d’Édouard de Max recuellis par Louis Delluc), si entusiasma per i balletti russi di Diaghilev, e diventa redattore capo dell’importante e prestigiosa Comœdia Illustré. « La sua attività era tanto più sorprendente — osserva ancora Moussinac — in quanto egli aveva una salute delicata. Non fu chiamato sotto le armi che assai tardi, e durante la guerra ».

Nel volume Cinéma & Cie. Confidences  d’un spectateur (1919), Delluc confessa di aver da principio detestato la così detta “arte dello schermo”. Erano i tempi in cui Anatole France considerava il fenomeno del cinema e la sua espansione universale come l’avvento del quinto cavaliere dell’Apocalisse: « Non si tratta — diceva l’autore di Thaïs — della fine del mondo ma di quella della civiltà, o, se voi volete, d’una forma di cultura europea. La diffusione del cinema concorda con la soppressione del latino e del greco nelle scuole ».

La “conversione” di Delluc al cinema arriva nel 1916, dopo una proiezione di The Cheat di Cecil B. De Mille, dopo i primi western, i film di Edwin S. Porter e di Thomas H. Ince e le comiche di Charlie Chaplin. Il fatto è che, dopo aver aver disprezzato o ignorato il cinema, come la maggior parte degli intellettuali di allora, ecco la rivelazione: “William Hart mette fuori causa i personaggi di Corneille, mentre la commedia di costumi cede il passo alle farse di Chaplin”. Non a caso, chiamato da Henri Diamant-Berger a collaborare nella rivista Le Film e diventato nel 1918 per un breve periodo capo redattore, tra le firme di nomi strettamente legati al cinema come Abel Gance, Marcel L’Herbier, Germaine Dulac, Charlie Chaplin, Max Linder e Musidora, troviamo scrittori come  Jean Cocteau, Paul Fort e Louis Aragon.

Col tempo, il cinema diventa un vero e proprio apostolato. Al margine di un’industria che fino allora era servita solo ad arricchire quelli che la praticavano, Delluc rappresenta lo spirito di una bohème letteraria e artistica, che assomiglia abbastanza, per il suo spirito combattivo, a quella dei cenacoli letterari della Rive Gauche; specie quando proclama che al cinema occorrono nuove leve, nuove idee, degli idealisti ed anche dei folli, e non esita ad accusare il pubblico di conformismo. « Con quella lucidità che caratterizzava la sua intelligenza, — scrive Moussinac — Louis Delluc aveva d’un tratto intuito tutte le ricchezze da scoprire e da rivelare nel corso di quella nuova e prodigiosa avventura moderna che stava cominciando ».

Intanto la sua evoluzione di artista si compie. Un giorno egli si accorge di essere guarito dalla rivelazione americana: « Sono cose vecchie ormai — scrive — la sincerità, la freschezza, il ritmo di quei primi film. È tempo che il cinema esca dall’infanzia », il cinema rappresenta « il ritorno ad un linguaggio più sottile e profondo, che è appunto quello della espressione silenziosa dell’essere umano. (…) Come il volto è lo specchio della vita interiore, così il film deve essere lo specchio del volto. Perché questo è già lo schermo, su cui la sensibilità gioca tutta la gamma delle sue emozioni ». Con il mettere in luce lo stupore che il soggetto prova quando per la prima volta si vede riprodotto sullo schermo, stentando a riconoscersi per una specie di riserbo istintivo e scontroso, egli pensa che il cinema dia di noi una immagine così insolitamente precisa, che noi stentiamo a crederla autentica: «Questo è dunque un campo vergine in cui il film può far conoscere molte cose di noi stessi, appunto in quanto la nostra materia corporea diviene interprete del nostro mondo spirituale ».

In perfetta contraddizione con le empiriche teorie dell’epoca, che pongono quasi tutte il movimento come la legge fondamentale del cinema, Delluc ribadisce che questo è ben lunghi dall’esserne il carattere essenziale. Ciò che conta è il dinamismo interno dell’azione, che conduce il nostro sguardo da un volto all’altro, per darci ciò che il dialogo è incapace di dare. Il concetto “photogénie, un accord mystérieux de la photo et du génie”, già inteso da Canudo come cinematografabilità, viene da lui maggiormente studiato ed esteso. Delluc vede nel film quattro elementi principali: “le décor”, “la lumière”, “la cadence” e “le masque”. Per “décor” egli intende gli interni e gli esterni di un film, e implicitamente la “perspective”, cioè piani e inquadrature. Alla “cadence”, considerato come “ammirevole fenomeno tecnico”, Delluc dedica un intero capitolo nel suo Photogénie (1920), che costituisce una prefazione alla riscoperta del montaggio inteso come “specifico filmico”.

Dalla teoria alla pratica. Delluc, che cercava da tempo i mezzi per produrre lui stesso dei film, debutterà nel cinema grazie al produttore Louis Nalpas, firmando la sceneggiatura di La Fête espagnole (1919), realizzato da Germaine Dulac, e interpretato da Ève Francis, musa ispiratrice fin dai tempi dove la sua massima aspirazione era diventare autore drammatico, diventata nel frattempo sua moglie.

Sempre nel 1919, con la rubrica Chronique du Cinéma su Paris-Midi, inaugurò la consuetudine della critica cinematografica in un quotidiano e, verso la fine dello stesso anno, la rinata Comœdia Illustré si riprende Delluc, ma questa volta nelle vesti di teorico del cinema aprendo definitivamente le porte alla “nuova arte”. Tutto chiaro fin dal titolo del primo articolo: Le cinéma existe. Ma l’attività di Delluc sulla stampa non finisce qui. Mentre collabora a Paris-Midi, sorge in lui l’idea di fondare una rivista dedicata esclusivamente a informare il pubblico che frequenta le sale di cinema, un punto d’incontro, un “club” per appassionati di cinema. Nasce così un’associazione e una rivista: Le Journal du Ciné-Club (14 gennaio 1920- febbraio 1921), quindi Cinéa (Louis Delluc et A. Roumanoff, Éditeurs), primo numero 6 maggio 1921. Dopo la dolorosa cessione di Cinéa nel 1922 alle Publications François Tedesco (causa debiti principalmente), chiusa la collaborazione al Paris-Midi, ritroviamo il nome di Delluc soltanto nella rubrica Pellicules del quotidiano Bonsoir, ultima cronaca l’8 febbraio del 1924, poche settimane prima della sua scomparsa.

Dal 1920 al 1924, Delluc riuscirà a realizzare come regista 8 film: Fumée noire (1920), Le Silence (1920); Le Chemin d’Ernoa (1920); Fièvre (1921), Le Tonnerre (1921), Prométhée… banquier (1921), La Femme de nulle part (1922), L’Inondation (1923).

Secondo alcuni storici del cinema, il cinema di Delluc può essere messo, senza sforzo, alle basi di una sorta di realismo magico, inaugurato dal cinema francese intorno al 1920, per cui i gesti più semplici dell’esistenza quotidiana appaiono di continuo trasferiti in una atmosfera irreale e misteriosa che evoca, abbastanza suggestivamente, il clima caro alle muse di Baudelaire.

Fumée noir e Le Tonnerre risultano, al momento, scomparsi. Di Le Silence si conserva una copia negli archivi del CNC. Prométhée… banquier è disponibile come bonus dvd nel volume Marcel L’Herbier. L’art du cinéma. Le Chemin d’Ernoa, Fièvre, La Femme de nulle part e L’Inondation nel triplo dvd Intégrale Louis Delluc uscito pochi mesi fa.

Le faticose riprese in esterni di L’Inondation furono fatali alla cagionevole salute di Delluc, scomparso a Parigi il 24 marzo 1924, 5 Rue de Beaune.

In omaggio al suo notevole contributo alla “settima arte”, Maurice Bessy e Marcel Idzkowskiè hanno fondato nel 1937 il Premio Louis Delluc.

Il IV Festival Internazionale del Film Restaurato – Toute la Mémoire du Monde – Cinémathèque Française, Parigi 3 al 7 febbraio 2016, dedicherà un omaggio all’opera di Louis Delluc (conferenza e proiezioni con musica dal vivo).