L’Anticinematografismo

Roma, dicembre 1919. In Italia abbiamo la mania delle frasi e dei concetti fatti.

Quando una frase o un’idea fanno fortuna non riusciamo a levarci più di torno la folla di seccatori che ci ripete continuamente l’una e l’altra semplicemente perché le ha sentite dire. Ripetizione fatta fino alla nausea, senza che nessuno cerchi di riflettere su quello che dice.

Oggi è di moda, specialmente fra la cosiddetta  classe dirigente che non dirige più nessuno, di andare contro il cinematografo, di fare dell’anticinematografismo.

L’on. Giulio Alessio, cui la rientrata candidatura a Presidente della Camera aveva accresciute le doti di combattività, ha pensato bene di spezzare una lancia per la morale pigliandosela col cinematografo corruttore.

Moltissimi spezzano delle lance così com’è uso spezzarle l’on. Alessio, scagliandosi, sempre a voce, contro il clericalismo, la borghesia, il capitalismo, il militarismo prussiano ecc. ecc.

Clericalismo, borghesia, ecc. sono dei bersagli soffici sui quali le palle non rimbalzano, e tutti gli oratori che a corto d’argomenti non sanno cosa dire ci fanno una sparatina contro per dar polvere negli occhi agli elettori ed acquistar rinomanza.

Cavour stesso diceva che quando non aveva nessun altro scampo se la pigliava coi preti e tutto s’accomodava.

A questi bersagli soffici s’è aggiunto da poco il cinematografo con cui se la pigliano i più assetati di morale fra i preti neri e i preti rossi.

Questa gente che strepita tanto contro l’innocente schermo bianco sul quale in sostanza si proiettano sempre le solite cose, non viene però mai nelle sale cinematografiche, perché preferisce la commedia di prosa, genere Presidentessa o Pillole d’Ercole, che la Censura non permette al cinematografo.

Com’è nato questo anticinematografismo politico?

Dall’ignoranza completa e assoluta delle cose cinematografiche largamente diffusa negli ambienti politici.

Moltissimi parlando di corruzione e di delinquenza giovanile favorita dallo schermo: come se i cinematografi fossero frequentati da una maggioranza, o anche da una forte minoranza di elementi giovanili.

Il cinematografo è un potentissimo mezzo di educazione, come la musica e il teatro, ma non è un mezzo didattico se non nelle scuole, dove — e questo è il torto di tutti i nostri ministri dell’Istruzione — non è ancora entrato.

Le pellicole educative, di cui lamentano tanto l’assenza i moralisti della politica che spesso non arrossiscono quando tengono il sacco ai pescecani, sono delle bellissime ed utilissime cose, ma enormemente passive industrialmente, appunto perché buona parte dei moralisti preferisce la Casta Susanna alla lettura dei fioretti di San Francesco.

Spetta forse all’industria pensare all’educazione del popolo e a rimettere del proprio in questa opera di filantropia?

L’istruzione è di competenza della Minerva e si fa a spese dello Stato che se ne deve rivalere sia sugli industriali che sui moralisti. E a costoro, cui sta tanto a cuore che il popolo sia indotto a pensare in un modo anziché in un altro, perché non erogano, o fanno erogare dalle proprie congregazioni, associazioni ecc., dei fondi per far fabbricare delle pellicole ad hoc?

Potrebbero, per esempio, ordinare Le vite dei santi, La repubblica sociale, Il  trionfo del cristianesimo, La vita di Lenin, ecc.

Ogni partito, a sue spese, si toglierebbe questo gusto, e, sempre a sue spese, farebbe proiettare il film educativo, regalando, naturalmente, i biglietti, e chiudendo i locali appena entrato il pubblico, per impedirgli di andarsene dopo il primo quadro.

Ma se si può scherzare sulle manie e sugli atteggiamenti istrionici di qualche politico moralizzante, non è possibile non considerare con inquietudine la leggerezza con cui costoro parlano di una industria che è — almeno oggi — la sola ricchezza d’Italia.

Sanno essi che l’esportazione italiana è costituita in buona parte di films cinematografiche? Sanno essi che il poco danaro straniero che l’Italia riesce ad afferrare le viene in grandissima parte dai films venduti all’Estero? Sanno essi che la cinematografia italiana valorizza e vende al mondo qualcuna delle pochissime ricchezze nostre: il cielo, il paesaggio, il sorriso delle nostre donne e l’arte dei pochi giovani di talento? Rispondere alla brutalità e necessità di un carico di carbone con un sorriso di Maria Jacobini: alleviare, sia pure per poco, il penoso peso del cambio con una trovata di Genina, sembra a questa gente una sciocchezza?

E duecento e più milioni di lire di tasse che la cinematografia dà allo Stato, e un paio di milioni di cittadini italiani che vivono del cinematografo sono niente? Zero?

Perché non studiano e capiscono prima di parlare, costoro che fanno dell’anticinematografismo la base d’un discorso politico?

an.
(Kines)