Considerazioni sul tempo che fu

Roma, 18 giugno 1910. Il saggio finale della Scuola di Recitazione di Santa Cecilia a Teatro Manzoni riuscì felicemente: degno premio alle fatiche costanti e ferventi di Virginia Marini, che seguita ancora l’antico nobilissimo apostolato d’arte. Il Manzoni era gremito in ogni ordine di posti: un pubblico imponente per eleganza e per distinzione. Tolti i bimbi che frignavano troppo spesso ne’ palchi… Ne “L’amore che passa” avemmo campo di ammirare la vezzosa Ines De Bartolomei, di recente scritturata, per l’autunno, alla Stabile Romana (…) Ottima la Iacobini, della quale non sapremmo se lodare più la bravura o la bellezza: ella fu insinuante per dolcezza e per soavità, colorì la parte con giusta misura.
(Il Corriere Teatrale)

Cesare Borgia
Maria Jacobini, prima a sinistra, in Cesare Borgia, Film d’Arte Italiana 1912

« Qualche anno prima della guerra. Il cinema era giovane e procedeva incerto, a tentoni, e giovinetta ero anch’io. Uscita allora dalla Scuola di recitazione de S. Cecilia, diretta da Virginia Marini, muovevo i primi passi sulla scena, nella Compagnia di Cesare Dondini, al Teatro di Palazzo del Drago a Roma, quando una sera il direttore della Film d’arte Italiana (una emanazione della Pathé di Parigi) venne a propormi di assumere il ruolo della protagonista in una pellicola di sette od ottocento metri, a sfondo storico… o quasi.

Accettai con timore ed entusiasmo allo stesso tempo. Debbo, però, avvertire che ero una giovinetta piuttosto timida e impacciata, con un volto addirittura infantile e particolarmente dolce, ingenuo e un po’ smagato, tanto che buon Dondini mi riservava di solito delle parti di amorosetta, a tipo roseo, tutto candore. Orbene, sapete in quale parte io feci il mio ingresso nel cinematografo? In quella di… Lucrezia Borgia. Una Lucrezia Borgia peggiore assai della sua fama, spaventosa e terribile sotto tutti i riguardi, da metter paura, così mal truccata come era, solo a guardarla. Tremai io stessa, allorché mi vidi sullo schermo, con a fianco, in qualità di ancelle, Francesca Bertini e Fernanda Battiferri, anch’essa ai primissimi passi nell’arte muta. La Lucrezia Borgia della storia era riabilitata! Non so se i dirigenti della Film d’Arte Italiana osarono poi presentare il film al pubblico; ma troppo scontenti di me non dovettero essere, perché subito dopo, convinti che in me ci fosse la stoffa di una futura diva, mi scritturarono per un maggior periodo, con la cospicua paga di 400 lire mensili.

Della cinematografia italiana del periodo della guerra e dell’immediato dopoguerra oggi si è soliti dire più male che bene, a su di essa si ama fare della facile ironia. Ebbene, io credo che si sia un po’ ingiusti verso noi stessi. Dal ’14 al ’20 abbiamo avuto in Italia un’industria cinematografica abbastanza fiorente e si sono fatti dei film non tutti indegni del loro tempo, non privi spesso di un certo ardimento e di buon gusto. Che, a rivederli, oggi, possano far sorridere e a momenti anche strappare qualche risata, è naturale. Tante cose sono cambiate! Mutata, sopra tutto, è la moda, e mutato è lo stile della recitazione. Allora, alle attrici si richiedevano quegli atteggiamenti convenzionali e stilizzati che attualmente fanno ridere. Ma in quei film, a volte, c’era anche dell’altro: c’era attraverso alle possibilità tecniche e alla regia di allora, non di rado di buon gusto, dell’espressione drammatica e persino della semplicità.

Ad una grande schietta semplicità, per esempio, io credo di essermi sempre ispirata ed attenuta in tutta la mia attività cinematografica. E difatti, dopo aver recitato in Italia in circa 40 film muti, ho visto dischiudermi i maggiori teatri di posa tedeschi, dove ho lavorato per ben nove anni consecutivi. È stato un periodo aureo per gli attori e registi italiani, quello, in Germania: ed è durato fino all’avvento definitivo del film sonoro e parlato. A Berlino in nove anni io ho partecipato ad oltre 40 film, la maggior parte dei quali è apparsa su gli schermi di quasi tutta Europa; e non senza fortuna.

Giorgio Bianchi e Maria Jacobini in La Scala (1931), regia di Gennaro Righelli
Giorgio Bianchi e Maria Jacobini in La Scala (1931), film sonoro di Gennaro Righelli

Poi… poi, ho fatto ritorno anch’io nel mio bel paese e, non completamente scontenta del mio passato cinematografico, e nemmeno delusa della mia grande fede in un rinnovato cinema italiano, ho ricominciato a pensare a quel teatro da cui mossi i primi passi, e finalmente mi sono decisa. Sicuro! In ottobre tornerò a recitare; mi ripresenterò a quella ribalta a cui mi accompagnò, bonario e fiducioso, Cesare Dondini, quand’ero ancora una timida giovinetta. E questa volta sarò a fianco d’un altro illustre maestro: di Alfredo De Sanctis. Una grande volontà ed una grande fede m’accompagnano ».

Maria Jacobini
(Cinema Illustrazione, 30 maggio 1934)

Nata a Roma il 17 febbraio del 1892, Maria Jacobini era nipote del cardinale Jacobini, appartenente ad una famiglia del patriziato romano, e ministro dello Stato Vaticano sotto il pontificato di Leone XIII. Nel 1938 diviene insegnante di recitazione al Centro Sperimentale di Cinematografia, cattedra che conserverà fino alla chiusura della scuola nel 1943.

Armando Falconi (Ferdinando II) e Maria Jacobini (duchessa Giulia Filangieri di Satriano) in Tempesta sul Golfo (1943), regia di Gennaro Righelli
Armando Falconi (Ferdinando II) e Maria Jacobini (duchessa Giulia Filangieri di Satriano) in Tempesta sul Golfo (1943), regia di Gennaro Righelli

« Il giorno 20 novembre alle ore 18.30 improvvisamente cessava di vivere Maria Jacobini.

Il figlio Angelo, prigioniero in Germania, la madre Virginia Ramondini Ved. Jacobini, il fratello Emanuele con la moglie Lina Berretta, la sorella Bianca con il marito Avv. Adriano Piacitelli, la sorella Diomira, i nipoti ed i parenti tutti, profondamente addolorati, ne danno il triste annuncio.

I funerali avranno luogo domani Giovedì: alle ore 10.45 nella Chiesa Parrocchiale di S. Maria del Popolo.

Si dispensa dalle visite »
(Corriere di Roma)

Il Corriere di Roma, 22 novembre 1944
Il Corriere di Roma, 22 novembre 1944

« Roma, 26 novembre 1944. La scena illustrata. Ricordi di Maria Jacobini. Certe notizie hanno un potere curioso: danno alla realtà un aspetto fantastico e un senso quasi mimetico. E, di solito, sono le notizie brevi, quelle che nei giornali appaiono composte in corpo cinque, a dare un’esca maggior all’immaginazione.

La notizia della morte di Maria Jacobini appartiene a questo genere di notizie. La mente è tratta a fantasticare, a stabilire rapporti, a tentare analogie, e sopratutto a considerare con quale gusto la sorte si è compiaciuta a concludere una esistenza. Si può dire che la sorte, per quanto spietata, non manchi talvolta di un gusto romanzesco e mimetico. Se ci è concesso muovere un’osservazione all’imperscrutabile, diremo che verso Maria Jacobini poteva essere forse meno precipitoso; cinquantatré anni sono pochi; a cinquantatré anni la vita ha ancora un senso, una sua attrattiva, una sua bellezza; è il momento in cui si “riassume”, in cui ogni cosa si precisa nei suoi contorni più dolci, più calmi, più vasti. Maria Jacobini, veramente, ha lasciato questo mondo in un momento in cui i contorni di ogni cosa appaiono tutt’altro che dolci ».

Gino Visentini
(Risorgimento Liberale)

« Roma 1944. Il funerale di Maria Jacobini è stato, dicono, squallido. Ma se Maria Jacobini fosse morta vent’anni fa, il suo funerale sarebbe stato seguito da centinaia di persone che avrebbero ricordato, commosse, l’arte e l’avvenenza di lei. E’ morta ieri, quasi improvvisamente. Stava per uscire, quando si è sentita male, L’hanno distesa su un letto, ha chiesto un medico. Al medico accorso ha rivolto uno sguardo dolce e un mesto sorriso, mormorando: « ah, dottore ». Poi ha reclinato la testa e più non si è mossa. I giornali quotidiani a questa morta che fu celebre ed era oggi quasi dimenticata, hanno dedicato poche righe.

Vent’anni fa Maria Jacobini avrebbe avuto diritto almeno a una colonna. Ma non era vanitosa. E ha scelto il momento meno adatto per lasciare questo mondo con una certa pompa. Non era vanitosa. Nessuno si ricordava quasi più di lei. Ma anche lei pareva si fosse dimenticata di essere stata un’attrice acclamatissima. L’ultima volta che la vidi or è qualche mese, risaliva piano piano la via Francesco Crispi, dalla parte del sole. Si fermò dall’erbivendolo, sull’angolo di via degli Artisti, a comprare frutta e verdura. E carica di un grosso involto, riprese la salita, un po’ più stanca, ma con sorriso lieto sul volto ancora bello ».

Adolfo Franci
(Star, 16 dicembre 1944)