Cinematografia e realtà secondo Antonin Artaud

Antonin Artaud interpreta il ruolo di Marat nel Napoléon di Abel Gance (1927)
Antonin Artaud interprete di Marat nel Napoléon di Abel Gance (1927)

Due vie sembrano oggi aprirsi al cinematografo e nessuna delle due è certamente la buona.
Il cinematografo puro e assoluto da una parte e dall’altra quella specie di arte venale ed ibrida che s’ostina a tradurre in immagini più o meno felici situazioni psicologiche che starebbero benissimo sulla scena o nelle pagine di un libro, ma che stanno malissimo sullo schermo non esistendo che come riflesso di un mondo che attinge altrove la sua materia e le sue significazioni.

E’ chiaro che tutto ciò che si è potuto vedere fino ad oggi sotto forma di cinema astratto o puro è ben lontano dal rispondere a quella che appare l’esigenza essenziale del cinematografo. Perchè, per quanto possa esser capace di concepire l’astrazione, lo spirito dell’uomo non può essere insensibile alle linee geometriche che, senza valore di significato in sè, non appartengono a sensazioni che l’occhio possa riconoscere e catalogare.

All’origine di qualsiasi sensazione per quanto si scavi in profondità si troverà sempre una sensazione affettiva d’ordine nervoso che implica il riconoscimento, sia pure ad un grado elementare, ma comunque sensibile, di qualche cosa di sostanziale, di una certa vibrazione che ricorda gli stati conosciuti o immaginati, di una delle molteplici forme della natura reale o sognata.

Il valore e la possibilità di un cinema puro sarebbe dunque nella restituzione di un certo numero di forme di questo ordine in un movimento e secondo un ritmo che sia l’apporto specifico di quest’arte.

Fra l’astrazione visiva puramente lineare (in un gioco di ombre e di luci come in un gioco di linee) ed il film a fondamento psicologico, compongano o non una vicenda drammatica, c’è posto per uno sforzo verso il cinematografo di cui nulla nei films presentatici fino ad ora intuisce la materia ed il valore.

Nei films a peripezia tutta l’emozione e tutto l’umorismo riposano unicamente nel testo ad esclusione dell’immagine; salvo rare eccezioni quasi tutto il pensiero di un film è nelle didascalie: anche nei films senza didascalie l’emozione è verbale e richiede lo schiarimento e l’appoggio delle parole perchè le situazioni, le immagini, gli atti, gravitano tutti attorno ad un significato ben chiaro.

Dunque ricerca di un film a situazioni puramente visive ed in cui il dramma abbia origine da un soggetto fatto per gli occhi, portato, mi sia lecito dire, nella sostanza stessa dello sguardo, e che non provenga da circonlocuzioni psicologiche d’essenza discorsiva che non sono che un testo in forma visiva.

Non si tratta di trovare nel linguaggio visivo un qualsiasi equivalente tecnico del linguaggio scritto di cui il linguaggio visivo non potrebbe essere che una cattiva traduzione, ma di far apparire l’essenza stessa del linguaggio, e di trasportare l’azione su di un piano in cui ogni traduzione diventa inutile ed in cui l’azione opera quasi intuitivamente sul cervello.
La pelle delle cose, il derma della realtà ecco qual’è anzitutto il campo del cinematografo. Esso esalta la materia: ce la fa apparire nella sua spiritualità profonda, nelle sue relazioni con lo spirito da cui essa nasce. Le immagini nascono, si deducono le une dalle altre in quanto immagini impongono una sintesi obbiettiva più penetrante di qualunque astrazione e creano mondi autonomi. Ma da questo gioco di pure apparenze, da questa specie di transustanziazione di elementi nasce un linguaggio inorganico che agita lo spirito per osmosi e senza nessuna specie di trasposizione delle parole.

E, per il fatto che si serve della materia stessa, il cinema crea situazioni che provengono da un semplice gruppo di oggetti, di forme, di repulsioni, di attrazioni. Non si separa dalla vita, ma ritrova la disposizione primitiva delle cose.

Il films più riusciti in questo senso sono quelli in cui regna un certo umorismo come i primi Max Linder, come gli Charlot meno umani. Il cinema, mondo sogni che dà la sensazione fisica della vita pura trionfa nel più eccessivo umorismo: un dato agitarsi di oggetti, di forme, di espressioni non si traduce bene se non nelle convulsioni e nei soprassalti di una realtà che sembra distruggere se stessa con una ironia in cui sono le risonanze stesse estreme dello spirito.

A. Artaud, 1927