Povera Tisa! Povera madre! Film Dora 1913

Pubblicità della Film Dora (La Vita Cinematografica 15 giugno 1913 © Museo Nazionale del Cinema)

È un lavoro drammaticissimo, con situazioni strazianti, impostato su di uno spunto soffuso di amor materno e svolto con convincente verismo e con arte impeccabile. La protagonista Notari (l’autrice stessa del soggetto) si è investita talmente nella parte di questa sposa e madre infelice, da farne una creazione. Il dramma otterrà certamente un esito lietissimo e noi lo auguriamo di cuore, facendo i nostri complimenti all’artista ed alla Casa editrice, che con costanza sta facendosi largo fra le consorelle italiane.

Lo giudicavano indifferente, ma il conte Giulio Deni aveva sofferto da impazzirne, quando gli dissero per la prima volta che la contessa Lea, la madre del suo figlio, era ammalata di tisi.

Credette ad una pazzia dei medici e girò tutta l’Europa in cerca di un salvatore, inutilmente. Così perché ella aveva voluto, ed anche perché i medici lo vollero, i conti Deni ed il figlio Mario partirono per la bella Napoli, e sotto la volta di questo mite ed azzurro cielo, incominciarono la vita di albergo, fra l’attenzione di tutti gli ospiti dell’Hotel, che circondavano la contessa Lea di simpatia profonda.

Una sera il dottore Velli assieme ad altri era intento a giuocare nella gran sala dell’Hotel, allorquando fu chiamato in fretta.

La contessa stava male. Poi bastarono per far comprendere al medico l’intimo dramma di quella famiglia: per un eccesso di amore il conte era diventato egoista sino alla crudeltà! Sapendo sua moglie vittima dello spietato male, lo aveva preso la paura di veder continuato nel figlio il supplizio della madre, ed ignaro dello strazio che infliggeva alla condannata, vegliava più geloso di una belva, più spietato di un aguzzino, ad impedire l’espansione del più sacro degli affetti, inquieto per un amplesso, pazzo di terrore per un bacio, che gli avrebbe fatto soffiare sul viso del figlio il suo respiro avvelenato.

Intanto il dottore Velli, ch’era diventato più che medico, l’amico della contessa, quella storia triste che aveva scoperto l’aveva impressionato; nessun esempio di egoismo umano gli era parso spietato è infame come quello del conte, pur causato da un legittimo e sacro diritto: come medico non dava torto al padre, come uomo pensava alle torture di quella madre… e l’uomo condannava il medico, e diventò il suo complice. Riusciva a deludere la sorveglianza del conte e della governante per permettere a quell’infelice di baciare suo figlio, e in questi baci furtivi essa riviveva, dimenticava il terrore della morte; ma quando il piccolo doveva allontanarsi in lei scompariva la vita, ed il bimbo comprendeva tutto il dolore della mamma; quel bimbo aveva l’anima straziata.

Un giorno avvenne una catastrofe: il dottore sorprese la governante a maltrattare Mario, che singhiozzava, aperse con violenza l’uscio, ma non ebbe tempo di accorrere a lui: un colpo fortissimo venuto dalla stanza attigua, come corpo caduto a terra lo spaventò, la contessa gridò, e corse come un pazzo nella sua camera: Lea giaceva distesa al suolo, gli occhi spalancati.

La sollevò, l’interrogò: — Avete udito, dottore? — rispose: mio figlio piange, lo hanno battuto, dottore, riprese fissandolo coi suoi occhi pieni del mistero della morte, lasciatemi portar via mio figlio! La sua mano s’irrigidiva, il suo viso era straziante: non voleva morire! Portatemelo, voglio baciarlo ancora una volta, abbiate pietà, dottore! E il dottore sembrava che non avrebbe potuto liberarsi di quegli occhi straziantemente imploranti: voglio vederlo, supplicò ancora agonizzante… ve…der…lo !…

Egli perdette la testa, si gettò fuori come pazzo… il medico diventò uomo, si trovò nella stanza del bimbo che, solo nella sua camera, singhiozzava ancora, e baciava a riprese il ritratto della mamma, lo prese fra le braccia e si precipitò nella stanza della morente. Ella li vide! Era trasfigurata: aperse le braccia alla sua creatura, che serrò selvaggiamente al cuore, mentre il dottore cadde ai piedi del letto, sopraffatto dall’emozione… udì singhiozzare tre volte, da una voce che non aveva più nulla d’umano, poi silenzio… Si alzò barcollando: uno spettacolo terribile l’aspettava. Le due creature che sì erano tanto amate e cercate, giacevano sul guanciale, strette in un bacio supremo: quella madre aveva soffocato di baci il figlio suo! Dio, a mezzo dell’uomo, non del medico, aveva permesso che quella donna, che dell’ amore conosceva solo il pianto, e della maternità solamente il prezzo supremo, aveva ben diritto di portarsi via la sua creatura!