Dal fonografo al fono-cinematografo, 1908

Fono-Cinematografo Gaumont
Fono-Cinematografo Gaumont

Tutti conoscono i dischi o cilindri fonografici, pochi sanno come si fabbricano. I fonogrammi registrati con grande spesa, per l’audizione diretta dei canti o delle orchestre, oramai non servono più che come prototipi, conservati accuratamente nei magazzini e utilizzati esclusivamente per la fabbricazione delle copie, in numero, si può dire, infinito, per mezzo di modelli galvanoplastici in rame nichelato, nei quali si colano, poscia, a volontà dei cilindri o dei dischi di pasta ordinaria, allo stesso modo che si sviluppano fotografie positive dal cliché negativo. Per i dischi, data la loro facilità di trasporto, questi modelli si fanno a stampa e ogni volta su tutta una serie di dischi accatastati. Un’officina di una certa importanza, può, in questo modo, fornire quotidianamente centinaia di fonogrammi, a prezzi così miti, che — compiendoli in altro modo — non sarebbe possibile poter fare.

La cosa più importante, in materia di fonogrammi è di ottenere la maggiore possibile fedeltà nei minimi dettagli dell’impronta, giacché, se la profondità del solco tracciato nella pasta si computa a centesimi di millimetri, ciascun centimetro di solco contiene migliaia di ondulazioni corrispondenti ai suoni, e — fatto curioso — si può vedere in ogni punto, per mezzo del microscopio, un aspetto diverso, a seconda del timbro della voce o della natura del strumento musicale che ha prodotta l’impressione su quel punto.

I dischi dei grandi fonografi, che servono per audizioni pubbliche, sono generalmente mossi con l’elettricità, e i deboli suoni prodotti nell’interno del diaframma dalla minuscole vibrazioni della membrana, crescono enormemente d’intensità per l’introduzione nel diaframma d’una corrente d’aria compressa.

Ma ciò è nulla in confronto del megafono a fiamma inventato dai signori Laudet e Gaumont. È un miscuglio d’aria e di acetilene sotto pressione che viene introdotto in un diaframma speciale che termina in due batterie d’infiammatori, analoghi agli infiammatori dei becchi Auer. Questo miscuglio viene acceso, e produce una serie di fiamme soggette, come nell’ordinario fonografo ad aria compressa, alle vibrazioni della membrana del diaframma.

La potenza di questo strumento è tale, che non si può immaginare l’effetto di un pezzo concertato, riprodotto con questo metodo, in una vasta sala.

Gli oratori che s’affannano a perorare una causa, davanti a un pubblico urlante di contraddittori, mercé la nuova scoperta, potrebbero introdurre tranquillamente nel megafono il loro discorso, e terrebbero testa ai più furibondi dei contraddittori: un giro di vite, e la voce si cambia in tuono.

Questa, è una  delle mille applicazioni del fonografo dell’avvenire.

E passiamo al cinematografo.

Il dottor Marey membro dell’Accademia delle scienze e il signor Demeny, direttore del laboratorio di fisiologia di Parigi studiavano indefessamente tutti i movimenti: voli du uccelli, caduta d’un bastone gettato in aria, nuoto di un pesce in una vasca, corsa di un uomo, ecc.; avevano adoperati i più ingegnosi mezzi per fotografare a intervalli regolari, le successive posizioni di questi soggetti, preferibilmente operando sovra uno sfondo perfettamente nero, e riducendo il soggetto a qualche linea brillante, ben disegnata: per esempio, vestivano di nero un uomo, che diveniva, così, invisibile sul cliché, avendo, però, cura di mettere sulle sue braccia, sulle gambe, sul torso, alcune linee di bottoni lucenti che, da soli, impressionavano la lastra, e davano la silhouette ridotta alla più semplice espressione, dei movimento delle membra, istante per istante.

Quanto a combinare un otturatore che scoprisse e coprisse l’obiettivo a intervalli regolari, niente di più semplice di un disco rotativo perforato.

Ma si giunse, bentosto, ad un importante perfezionamento, sostituendo all’unica lastra fotografica un nastro pellicolare pieghevole, sul quale di fotografava la scena intera, facendola scorrere a ciascuna impressione, la lunghezza d’una immagine, in maniera da ottenere, ben distinte, le istantanee di ciascuna fase del movimento studiato. Infine, questo movimento di ricostituiva dando alla pellicola positiva, tratta sulla negativa uno spostamento simile, con la stessa velocità, in un apparecchio di proiezione, sostituito all’apparecchio che serviva per prendere le vedute.

Ed ecco il cinematografo attuale.

Non c’è bisogno d’insistere sull’attrattiva che offre la riunione del fonografo col cinematografo.

La difficoltà maggiore sta nell’ottenere un sincronismo perfetto fra i due apparecchi. Non si può, evidentemente, presentare al pubblico un attore che parli prima di aprir bocca. Per questo, non si può considerare come fono-cinematografo la combinazione presentata a Parigi nell’esposizione del 1900, dei due apparecchi. L’operatore, male o bene, cercava di far accordare parole e movimenti girando più o meno velocemente la manovella del cinematografo intanto che il fonografo parlava.

È invece la matematica precisione che hanno i fono-cinematografi della società Gaumont, denominati apparecchi cronofoni assai ricercati.

In questo strumento, il fonografo ad aria compressa, messo in movimento da un motore elettrico, comanda automaticamente la marcia del motore elettrico del cinematografo, e i due apparecchi vanno con egual velocità.

Il legame fra i due apparecchi è elettrico, assicurato colla massima esattezza, tanto se vicini, quanto se distanti l’uno dall’altro.

Bisogna, però, prevedere i salti.

Per esempio, se il disco è un po’ troppo usato, l’ago del fonografo salta un solco, sopprimendo, così, una parte delle parole o della musica; intanto il cinematografo marcia regolarmente.

È possibile riparare a ciò, grazie ad un differenziale analogo a quello delle automobili, anch’esso messo in moto da un motore ausiliare che accelera o rallenta il cinematografo, senza che il motore del fonografo se ne risenta, sino a che lo riconduce alla unione primitiva.

Il fonografo viene anzitutto messo in movimento, poi, nel momento marcato da un segno sopra il disco, dal luogo corrispondente alla prima immagine del nastro, l’operatore preme sopra un bottone che mette in movimento il motore del cinematografo; e così la scena si svolge con effetto brillante, stupefacente.